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Procreazione assistita: "L'incoerenza del sistema legislativo italiano".

Oggi la Corte Europea per i diritti umani ha confermato la sentenza favorevole, già emessa lo scorso 28 agosto, sul caso Costa Pavan contro la legge 40 dello Stato italiano, che impedisce  il ricorso alla procreazione assistita con diagnosi pre impianto  di  eventuale patologia genetica.
I ricorrenti, Rosetta Costa e Walter Pavan, sono cittadini italiani, portatori sani di mucoviscidosi: hanno saputo di questa loro condizione quando la malattia si è manifestata nella loro prima figlia ed in seguito, nel 2010, hanno tentato una seconda gravidanza, che però è stata interrotta in quanto l'embrione risultava affetto dalla stessa patologia.
 La coppia avrebbe desiderato utilizzare la procreazione assistita con possibilità di selezionare un embrione sano, ma la legge italiana, pur permettendo l'interruzione della gravidanza in caso di diagnosi di grave disgenetismo (aborto terapeutico) non permette, invece, di utilizzare le tecniche di procreazione assistita in senso preventivo, in quanto esse sono consentite solo per infertilità accertata o anche per prevenire la trasmissione di alcune malattie (HIV ed epatite C o  B del padre).
Il ricorso (n.° 54270/10)  della coppia è stato proposto alla Corte Europea contro la repubblica italiana il 20 settembre 2010 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
La coppia ha ottenuto una sentenza favorevole il 28 agosto 2012, contro la quale l'Italia ha presentato il ricorso che oggi è stato rigettato, con conferma della prima sentenza.
La Corte evidenzia: "l'incoerenza del sistema legislativo italiano in materia di diagnosi pre impianto" e non c'è dubbio che questa sentenza richiede un adeguamento della nostra legislazione agli standard europei e soprattutto al criterio del rispetto dovuto al corpo ed ai diritti di una donna.

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