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Recensione di "Il confessore" di Pietro Baita

L'opera è un romanzo breve che ho deciso di leggere perché incuriosita dal titolo. "Il confessore" nell'immaginario di ognuno è un custode di segreti e di storie di vita, un ascoltatore ed un giudice, investito del potere divino del perdono. "Non ho mai negato l'assoluzione" scrive l'autore e così il confessionale funziona come un espediente narrativo accattivante e capace di aggregare frammenti di discorsi, impressioni, fugace balenare di immagini che gradualmente si raccordano e si aggregano, ricomponendo in qualche modo il canto corale di una piccola comunità di paese.  

La storia è quella di un frate designato per il lavoro del confessionale: la grata è il filtro attraverso il quale gli giungono le voci della vita che gli è preclusa dalle mura del convento ed alla quale lui assiste da spettatore con la partecipazione distante di chi è fuori dal tumulto. Spesso alle voci si sovrappongono riflessioni: il confessore si confida con le considerazioni fanciullesche ed ingenue di chi non ha mai vissuto in prima persona emozioni quali l'avidità, l'odio e l'egoismo, che appaiono così messi a nudo e privi di ogni contestualizzazione capace in qualche misura di minimizzarli o mistificarli. Spesso il confessore segue con lo sguardo il penitente, quando, allontanandosi dal confessionale, va a sedersi per pregare e si forma così un'idea del personaggio. Tante storie gli scivolano addosso, altre lo trafiggono profondamente. 

Spicca nel racconto la vicenda di una bellissima fanciulla i cui lineamenti sembrano riflettere la semplicità e la nobiltà interiore: una bellezza che suggerisce al frate fin dal primo momento un qualcosa di particolare, come una designazione divina, un destino ... La fanciulla diverrà donna e madre, ma la sua vita sarà sempre segnata dal lutto e dal dolore. Una sofferenza tale da suscitare profonda compassione nel suo padre spirituale: una storia che resterà per sempre custodita in fondo al suo animo fino alla fine. Un'altra immagine in primo piano nel romanzo è quella della vita che cresce nelle generazioni: i fanciulli che giocano innanzi agli oratori, i fanciulli che divengono genitori di altri fanciulli, un ciclo che si riproduce nella gioia di vivere. Poi il comando in un'altra parrocchia, la rottura improvvisa dei legami costruiti con la gente del luogo ed i confratelli, il riadattamento, quasi privo di ricordi, il ritorno, la fine. Uno stile semplice, molto lineare, senza pretese, in tono con la narrazione autobiografica, in fondo simile appunto ad una confessione.

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