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Contro il cyberbullismo, la campagna "no hate speech"


                                                                                 

Il Consiglio d'Europa ha lanciato la campagna "no hate speech" che ha già raccolto adesioni da 34 paesi.
L'iniziativa è partita ieri dall'Italia con un seminario parlamentare che ha visto la partecipazione di Boldrini e Rodotà e soprattutto di una madre che aveva una figlia di 14 anni,   che in gennaio scorso si è suicidata dopo avere subito la persecuzione dei bulli della rete.
Nessuno più di questa madre,  che ha vissuto una simile tragedia, sarebbe riuscito ad apparire più credibile e  condivisibile nello spiegare che non si tratta di mettere bavagli alla rete, ma di evitare che altre persone come Carolina vengano seppellite.

La rete è un oceano immenso ed ha una caratteristica tutta sua e peculiare: nulla di tutto ciò che viene immesso in rete resta privato. Accanto a questa, una seconda caratteristica: la rete è abbastanza grande da contenere tutte (ma proprio tutte in positivo e negativo) le idee, tendenze ed emozioni immaginabili.
Non vi è praticamente nulla che non trovi risonanza in questa entità magmatica, dove anzi spesso le persone, protette da una illusione di anonimato, scaricano più o meno impunemente, anche i peggiori sentimenti di odio,  razzismo e sessismo, ma ... (c'è un "ma") alcuni reati, quali l'insulto, lo stalking, la violazione della privacy, per non parlare della istigazione al suicidio, in effetti sono già perseguibili a norma di legge e già esiste la polizia postale demandata ai necessari controlli: cos'altro quindi, quali altri provvedimenti possono essere adottati?
E le misure prese verranno poi  utilizzate esclusivamente per perseguire in forme più efficaci i suddetti reati o anche per stabilire forme di censura che finiranno per limitare la libertà di esprimere  opinioni?
Il futuro prossimo darà risposte: non resta che augurarsi che non sia la libertà di espressione a doverne pagare il prezzo.


 

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