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Marceline Desbordes Valmore: la sua poesia fragile ed intensa

Marceline Desbordes Valmore è una delle poetesse che adoro profondamente, di quelle che al primo impatto hanno saputo toccare una corda sepolta nell'imo del mio animo per la delicatezza e la semplicità armonica dei suoi versi, che a tratti lascia trasparire una cultura per qualche aspetto classicheggiante, benché temprata dal tormento crudo della vita nel clima del romanticismo francese. Il suo stile è tuttavia profondamente innovativo e contiene elementi di avanguardia tanto che la Valmore viene considerata una precorritrice di  Rimbaud e Verlaine.
Per chi non la conoscesse, Marceline nasce a Douai nel 1786 ed è figlia d'arte: il padre è un pittore finito poi a calcare il palcoscenico e lei inizia a lavorare come attrice.
Nella sua vita si sposa due volte e vede morire tre dei suoi quattro figli ...
Nel 1819 comincia a pubblicare poesie e gode di grande considerazione tra i più famosi scrittori del suo tempo. Verlaine le tributerà ammirazione come "unica donna di genio" della storia.
Autrice di poesie, racconti e fiabe per bambini, riceve nel corso della sua carriera letteraria diversi riconoscimenti per il suo talento e la sua arte.
Muore a Parigi il 23 luglio del 1859.
Di lei amo in modo particolare questa poesia, che ha per me un significato assolutamente speciale:

Una lettera di donna


Le donne, lo so, non dovrebbero scrivere; 

Ma io scrivo 
Perchè tu possa leggere da lontano nel mio cuore, 
Come quando sei partito. 


Non dirò nulla che non sia in te 

Molto più bello, 
Ma la parola detta cento volte, quando viene da chi s'ama, 
Sembra nuova. 


Ti dia felicità! Io resto ad attenderla, 

Benché, laggiù, 
Sento che me ne vado per vedere e sentire 
I tuoi passi vagare. 
Non voltarti se vola una rondine 
Lungo la strada, 
Perchè credo che sarò io che passerò fedele 
Sfiorando la tua mano. 


Te ne vai: e tutto se ne va! Tutto si mette in viaggio, 

Luce e fiori; 
La bella estate ti segue, mi lascia nella tempesta 
Piena di lacrime. 


Ma se non si vive più che di speranza e di timori, 

Non vedendoci più, 
Dividiamoci per il meglio : io trattengo le lacrime, 
Tu la speranza. 


No, non vorrei, tanto ti sono unita, 

Vederti soffrire; 
Augurare il dolore alla propria metà benedetta, 
E' odiare se stessi.


________________________________________________________________

N.B. : questo post in risposta alla "sfida all'ultima poesia" lanciatomi da Patricia nel suo blog. 

Commenti

  1. E ho fatto benissimo a sfidarti.... :)))) Anzi, ti devo ringraziare perchè non conoscevo questa poetessa ed è... incredibile. Profonda ma al tempo stesso leggera di mano. Soave. Sa dire cose importanti senza diventare pedante. L'uso che fa del linguaggio è quasi etereo pur andando a fondo nell'intimità di una persona.
    Stupenda autrice!
    Ciao Clara! Un abbraccio.

    RispondiElimina
  2. Ciao Patricia! Grazie a te per l'interessante spunto che mi hai offerto: buona giornata :-))

    RispondiElimina

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