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I cavalieri del Charlie Hebdo

In questi giorni tra la rete, i media ed i social abbiamo ascoltato e letto di tutto: da quelli che, pur difendendo la libertà di stampa, non hanno condiviso e non condividono un certo tipo di satira platealmente dissacrante fino ad apparire offensiva delle diverse fedi religiose a quelli che, cogliendo la palla al balzo, fomentano guerre e pulizie etniche a partire dai flussi migratori degli esuli per guerre e fame.
Abbiamo letto Je suis Charlie ed anche Je ne suis plus Charlie con posizioni ora argomentate ora accennate in linguaggi allusivi a tutti i vari significati, ricadute e strumentalizzazioni in corso nei panorami politici interni ed internazionali.
La vicenda del Charlie Hebdo è diventata una imponente onda mediatica che ciascuno cerca di cavalcare in modo da trascinare acqua al proprio mulino.
Bene: per quel che vale mi dissocio.

La realtà, quello che è accaduto realmente, è che è stata sterminata l'intera redazione di un giornale satirico ed è successo sotto gli occhi dei servizi di intelligence che conoscevano e monitoravano i fanatici estremisti.
Non so se sia tutta la responsabilità dei terroristi o dei servizi segreti che hanno permesso che questo avvenisse, non credo neanche che sia questo il momento giusto per discutere se debba essere o meno introdotto un limite legislativo alla satira religiosa.
Esistono i reati di vilipendio per le massime cariche politiche ed anche per la bandiera in quanto simbolo della patria, esistono i reati di diffamazione per i singoli soggetti, esiste il reato di razzismo per la denigrazione e l'insulto mirato a specifiche etnie, ma non  esistono reati di vilipendio riferiti a credenze religiose, almeno fino ad oggi e di certo non è questo il momento giusto per discuterne.

Io non seguivo i vignettisti del Charlie Hebdo e nel rivedere in rete le più famose delle loro vignette mi sono resa conto che alcune mi sembravano divertenti, altre invece, eccessive e nel secondo caso se mi fossero capitate per caso sotto gli occhi in tempi non sospetti, mi sarei (semplicemente) astenuta dal condividerle o darne qualsivoglia segnale di gradimento: è vero, però Je suis Charlie perché oggi in questo contesto Je suis Charlie non significa che doveva per forza piacermi tutto quello che facevano e scrivevano i giornalisti ed i vignettisti del Charlie, ma significa soltanto che io rigetto la violenza, l'estremismo ed il terrorismo (e non solo quello islamico) e che credo nella libertà di stampa, significa che condivido molto profondamente il dolore ed il lutto per la strage perpetrata in Francia (e non solo per quella strage).

La libertà certo è partecipazione e ciascuno spazio di libertà quindi trova il suo confine nel rispetto delle altrui libertà: questi limiti nelle comunità e società civili hanno un nome e si chiamano leggi.
Tutti sono tenuti al rispetto delle leggi del diritto nazionale ed internazionale e tutti sono tenuti a rispettare i diritti umani, il primo dei quali è il diritto alla vita: avevano diritto alla vita i giornalisti del Charlie, avevano diritto alla vita tutte le vittime delle guerre e della fame nei paesi del Medio Oriente.
Je suis Charlie perché credo nei diritti umani, prima il diritto alla vita e credo nella libertà, prima la libertà dal bisogno e dalla fame.

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