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Quando liberalizzazione fa rima con adulterazione

Un paio di giorni fa il tam tam si è diffuso in rete, la voce rimbombava da un angolo all'altro dei social ed era precisamente: l'Europa vuole multare l'Italia per obbligarci a fare il formaggio senza latte!
La cosa detta così aveva decisamente del surreale: il formaggio senza latte... come si fa?
Sarà un prodotto diverso dal formaggio, non lo si potrà di certo chiamare formaggio, qualunque cosa sia.
In realtà la colpa (o il merito)  è stato tutto della Coldiretti, che il 30 giugno senza mezzi termini ha lanciato l'allarme, titolando sul suo sito: "l'UE diffida l'Italia perché vieta i formaggi senza latte" e uno giustamente pensa: ma quando mai? Noi ce li abbiamo  i formaggi ed il latte di soja (siamo forniti anche di allergie ed intolleranze alimentari, se è per quello: non ci facciamo mancare nulla!) ma certo ed infatti il problema non era affatto quello.
Il formaggio di norma si fa con il latte ed un buon formaggio si ottiene lavorando buon latte fresco.

Naturalmente esistono gli imbroglioni, cioè quelli che per risparmiare sulle materie prime, invece di usare latte fresco, usano derivati a basso costo come la polvere di latte e varie altre schifezzine sintetiche adatte a simulare il gusto (ma neanche ci può somigliare) del formaggio.
Alcune manipolazioni degli alimenti nella nostra normativa nazionale vengono considerate adulterazioni e sono vietate per legge: nel caso dell'uso di polvere di latte si tratta della legge n. 138 dell'11/04/1974. Ora succede che queste normative che tutelano la qualità degli alimenti e la salute dei consumatori evidentemente sono sgradite alle multinazionali dell'industria alimentare e succede anche che in altri paesi europei sia consentito l'utilizzo di latte in polvere nella produzione di formaggi, sicché le multinazionali (che hanno interesse a mantenere bassi i costi di produzione) ed altre nazioni UE (che hanno interesse a guadagnare esportando in Italia i loro prodotti) di comune accordo aprono per l'Italia la procedura di infrazione, con l'accusa di voler limitare slealmente le loro esportazioni.... figurarsi! Il guaio purtroppo è che la presenza di materia prima di qualità più scadente consente di immettere sul mercato prodotti similari a prezzi competitivi e nel contempo non garantisce neanche la possibilità di una libera scelta da parte del consumatore, perché le attuali norme sull'etichettatura in alcuni casi consentono di fornire informazioni incomplete.

In effetti sembra che all'estero sia permessa l'aggiunta di zucchero al vino al fine di aumentarne la gradazione alcolica e che sia consentita l'aggiunta di acqua fino al 5%  in alcuni tipi di carne senza obbligo di darne indicazione in etichetta.
L'indicazione della provenienza delle materie prime utilizzate per il prodotto che acquistiamo in Italia, inoltre, non è sempre leggibile: non lo è ad esempio per la frutta lavorata, per i formaggi e per il latte. La conseguenza di questo comportamento è che la metà delle mozzarelle ed i  tre quarti del latte a lunga conservazione provengono dall'estero, ma vengono spacciati per made in Italy, mancando del tutto l'indicazione della provenienza in etichetta, stesso discorso per i due terzi dei nostri prosciutti  ottenuti da maiali allevati all'estero.

La Coldiretti sottolinea che per quanto riguarda la produzione casearia, la qualità dei prodotti italiani è apprezzata universalmente, tanto che le esportazioni in questo settore sono sempre in considerevole crescita (+9,3% nel primo trimestre 2015).

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