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La scuola per genitori: una necessità o un tentativo di omologazione?

Un recente studio condotto presso l'Università di Kobe in Giappone, mette in evidenza come alcuni aspetti dello stile educativo genitoriale incidano sulle caratteristiche di temperamento e sul futuro successo sociale della prole, collegando i livelli più alti di attenzione positiva con il raggiungimento di maggiore successo nella vita. I ricercatori hanno suddiviso gli stili educativi in sei modelli fondamentali (supportivo, rigoroso, indulgente, permissivo, duro e medio) e quindi classificato 5.000 persone in base alle risposte fornite in un sondaggio on line, per quello che era il rapporto con i propri genitori e confrontato poi con i loro risultati nella vita. Logicamente questo tipo di ricerca è discutibile: le persone più ottimiste e soddisfatte di sé infatti, sono sicuramente quelle che descrivono più positivamente il passato rapporto con i propri genitori, ma non è dato sapere quanto questo ricordo sia realtà oggettiva o interpretazione soggettiva.

Studi analoghi sono stati condotti alcuni anni fa negli Stati Uniti presso l'Università Pittsburgh (USA) ma mirati specificamente a valutare i risultati di una impostazione educativa rigida ed ostile: anche qui i dati pubblicati sulla rivista Child Developement dimostravano un incremento delle problematiche adolescenziali e dei disturbi depressivi nei soggetti che avevano subito un eccessivo rigore educativo. I risultati ottenuti dallo studio su 976 famiglie deponevano abbastanza esplicitamente per un effetto negativo sulla formazione del carattere e quindi sulle future prospettive di vita per i ragazzi che avevano sperimentato un ambiente familiare repressivo ed ostile.

A gennaio di quest'anno il premier inglese ha proposto di aprire una scuola per genitori a Londra: argomento sul quale si sono spese diverse opinioni, anche poco favorevoli. Vero è che essere genitori non è tanto una cosa che si impara, quanto qualcosa che si diventa, però potrebbe essere riduttivo schierarsi sfavorevolmente come posizione pregiudiziale: se la scuola per genitori funzionasse anche solo come gruppo di supporto per il contenimento dell'ansia ed al contempo come strumento di controllo sociale, mirato a prevenire gli abusi, già solo questo basterebbe a dargli un suo perché!

Fare, anzi essere genitori è una delle cose più complesse e difficili che possano capitare ad una persona e ad una coppia: non vi sono regole, intese come schemi  e protocolli da seguire pedissequamente, per essere sicuri di star facendo le cose giuste e appunto per questo ciascuno interpreta il ruolo in base alla propria esperienza, al proprio carattere e modo di pensare. Il problema, cioè la maggiore difficoltà sta proprio nel fatto che la posizione di genitorialità non rappresenta un qualcosa da fare, che pertanto può essere eseguito  nel modo giusto o sbagliato, ma proprio invece un modo di essere, in cui è interamente coinvolto l'individuo con tutte le sue risorse, le sue mancanze, il proprio assetto emotivo, la propria critica ed i vissuti personali.

Non esiste la cosa giusta, non si può dire ad esempio che il genitore deve essere sereno, perché nel caso non lo fosse, ma fingesse di esserlo, suonerebbe falso, finendo così per trasmettere messaggi ambivalenti e confusivi. Non si può dire che il genitore deve valorizzare e nutrire la fiducia, perché se invece il genitore fosse in ansia e/o se tale fiducia non fosse meritata, riuscirebbe solo a trasmettere messaggi di disinteresse ed ottusità emotiva. Potremmo andare avanti con questo tenore, moltiplicando gli esempi di tale genere: il fatto è che il genitore deve essere ciò che non può fare a meno di essere, vale a dire se stesso.

Nella nostra civiltà (e non soltanto) i nuclei familiari sono strutturati in modo che siano di solito le madri ad occuparsi dell'allevamento della prole, soprattutto durante gli anni dell'infanzia: possiamo considerare questa una situazione abbastanza naturale, visto che sono le madri a nutrire nel proprio grembo i bambini, sono le madri ad allattarli ed a staccarli dalle braccia per insegnare loro i primi passi e le prime parole. Normalmente i padri riescono a stabilire un rapporto diretto col bambino più tardi, quando il piccolo comincia a riconoscersi come individuo, benché il ruolo paterno sia spesso da considerarsi cruciale proprio nelle prime fasi dello sviluppo dell'infante, per la capacità (o meno) di supportare l'unità madre-bambino, non solo concretamente, ma soprattutto emotivamente, nel corso di uno dei periodi più critici e delicati della cresacita che vede la trasformazione di una donna in madre.

Alcune cose sono cambiate e stanno cambiando nel costume e nella cultura dei nostri giorni, sicché dai tempi in cui i disturbi psichici dell'infanzia venivano per lo più addebitati alle madri (valga per tutte la figura della madre schizofrenogena della letteratura medica) stiamo passando ad una visione più complessiva, che mette in gioco la coppia dei genitori e l'intero nucleo familiare come ambiente micro-sociale all'interno del quale vengono a strutturarsi le persone, perché è qui che individuano i propri modelli e decidono cosa vogliono o non vogliono essere, è qui che apprendono i modelli di relazione, che poi proporranno all'esterno, è qui che imparano il valore proprio ed altrui ed imparano ad amare se hanno la fortuna di avere  genitori che sappiano insegnarlo.

Sarebbe tuttavia un errore trattare l'argomento come se i figli fossero statuine di creta, che il genitore ha la capacità di modellare come vuole: gli individui posseggono anche proprie caratteristiche del tutto specifiche. Non è importante soltanto la qualità e la quantità di ciò che (come genitori) si offre: è soprattutto importante capire cosa l'altro è in grado di prendere ed offrire appunto quello.



Commenti

  1. Posso risponderti di no, Sfinge?
    Cosa facciamo poi? La catena di montaggio?
    Io sono mamma e so quanto è dura e difficile fare la mamma. Non si deve essere troppo permissivi o tropo rigidi, non si deve negare sempre o accondiscendere sempre non si deve...

    Per mio conto, ogni caso è a sè perchè non tutti i genitori hanno lo stesso carattere e lo stesso modo di vedere e vivere cose e situazioni. Ma nemmeno i figli sono tutti uguali.

    Bisogna avere sì le idee chiare il più possibile ma non è sempre semplice. Essere severi ma con giustizi, rigorosi ma senza ferire psicologicamente, lasciare libertà ma mantenere il controllo.
    Facile a dirsi! A farsi però... altro paio di maniche.
    Certamente i figli vanno sempre sostenuti e supportati ma bisogna anche fare in modo che vedano e capiscano dove commettono errori e da soli o col nostro aiuto vi pongano rimedio.
    Non è che mia figlia è la più grande...che ne so! Scrittrice del mondo solo perchè è mia figlia. Lo è se sa scrivere ma altrimenti...

    I figli sono nostri perchè li mettiamo al mondo ma sono individui staccati da noi. Non possiamo proiettare su di loro i nostri sogni non realizzati. Noi abbiamo i nostri ma oro, come individui ne hanno altri ed è giusto così.
    Solo l'esperienza può insegnarti questo "mestiere", con sbagli e successi. Nessuna scuola potrà mai farlo. La vita sì.

    Poi, sai, queste scuole mi fanno anche un po' di paura. Chi insegnerà? Psicologi? Pedagogisti? Personale specializzato magari ma.. sono genitori a loro volta? O parlano solo teoricamente? E se hanno figli, come è il rapporto con loro?

    Discorso complesso questo...

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    1. Certo che puoi rispondere di no! Ciascuno deve dire quello che pensa e sicuramente tu hai le tue buone ragioni per pensarla così, tuttavia molto dipende da come la cosa viene impostata: se un gruppo di genitori rappresenta un luogo di confronto di esperienze e di contenimento dell'ansia, un luogo di supporto sociale ai nuclei familiari sempre più isolati... allora potrebbe avere una sua utilità. Anche le gravidanze ed i parti sono tutti diversi tra loro, eppure i corsi di preparazione alla nascita spesso funzionano positivamente. Nessuno pretenderebbe (credo) di imporre i propri criteri educativi (questo lasciamolo fare agli insegnanti;) ma solo aiutare ciascuno a tirare fuori il meglio di sé. Essere rigidi o permissivi sono scelte personali di pertinenza di ciascuno, purché si muovano in un "range" fisiologico, senza sconfinare nella repressione da un lato, né nell'abbandono dall'altro. Soprattutto io credo che sia necessario sviluppare le proprie capacità di ascolto per riuscire prima a capire e poi a dare ciò di cui quel particolare bambino ha bisogno ed è capace di utilizzare. Grazie del tuo bellissimo contributo Patricia. Un abbraccio!

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  2. Se la metti così sono d'accordo anch'io ma allora non parliamo di scuola. Un circolo per scambiarsi pareri e opinioni, per confrontarsi ed aiutarsi ad affrontare determinate problematiche sì.
    Diciamo che non si nasce genitori(come d'altronde scrittori, pittori o corridori) Lo si diventa poco per volta giorno dopo giorno crescendo insieme al figlio perchè la sua crescita, i suoi dubbi le sue domande aiutano a crescere anche te.

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    1. In effetti una scuola di adulti impegnati sul campo non vedo cos'altro potrebbe essere...

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