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Gli italiani non sono razzisti, ma

Gli italiani, popolo di navigatori e di poeti, non sono razzisti, almeno storicamente non lo sono stati fino ad ora, salvo il ventennio fascista, occasione in cui, peraltro, il razzismo di Stato è sembrato un po' a tutti più una emanazione della subalternità politica verso la Germania nazista, piuttosto che un moto originato nel cuore del  popolo italiano. Fino ad oggi tutti quelli che sono arrivati hanno finito per naturalizzarsi, imparentandosi e radicandosi nella nostra terra. L'Italia è una penisola, abbiamo tanti chilometri di costa e tanti porti e porticcioli commerciali e turistici. Qui sono sbarcati tutti fin dall'antichità, dai normanni agli arabi: la posizione geografica ha sempre favorito gli scambi e le comunicazioni. 

Certo abbiamo le torri saracene proprio al sud, nel regno delle due Sicilie, ma erano per i pirati, quelle masnade che sbarcavano per saccheggiare ogni ben di Dio e violentare le donne, non per chi arrivava in pace a portare merci e braccia per la terra. Oggi la situazione è cambiata e non lo si deve all'impoverimento del paese, perché, checché se ne dica, siamo stati in un passato non proprio remoto, tanto, ma tanto, più poveri di adesso. Era ricco o quanto meno considerato benestante, chi riusciva, senza grosse angustie, a mettere un piatto a tavola per la propria famiglia, non molto di più. Ora ciò che è cambiata è l'unità di misura: il metro sul quale vengono valutati i bisogni e lo stesso modo di percepirli.

Il cambiamento del metro di misura lo si deve alla involuzione consumistica della nostra società, che continua a martellarci di pubblicità scintillanti, che espongono agli occhi di tutti situazioni e contesti di benessere, ricchezza e felicità, all'interno dei quali collocare i prodotti in vendita. Si punta alla identificazione con i protagonisti degli spot e quindi alla creazione del desiderio dei prodotti. Psicologia spicciola, ma massicciamente presente e reiterata all'infinito, tanto da penetrare  infine fin nel profondo delle menti. Abbiamo molti più bisogni oggi, molti di più di quelli che ci sarebbero naturali e molta paura di perdere i privilegi maturati nella storia del colonialismo occidentale.

Una settimana fa un tale ha sparato dal balcone con un fucile ad aria compressa  ad una bambina rom, Cerasela di 13 o 15 mesi secondo diverse le fonti di stampa: la piccola purtroppo è probabile che resti paralizzata per il resto della sua vita. L'uomo è un pensionato (già a soli 59 anni, beato lui) ex dipendente del Senato, un certo Marco Arezio, che non se la passa poi così male, di certo meglio di molti di noi. Pare che l'uomo avesse truccato l'arma per potenziarla e che abbia poi sostenuto inizialmente di aver tentato il tiro al piccione, volendo provare l'arma, poi di essersi lasciato sfuggire involontariamente un colpo. Di certo non si è interessato di capire cosa aveva fatto, non ha neanche tentato un soccorso, né avvisato nessuno. Lo hanno scoperto, ma lui no, non è razzista.

L'esperimento comunque deve essere piaciuto ed ecco che già dopo un paio di giorni altri due stranieri sono stati presi di mira: a Vicenza è stato colpito, sempre con spari dal balcone, un uomo di colore, che lavorava come operaio all'impianto elettrico e si trovava fra l'altro ad una certa altezza. Fosse caduto sarebbe rimasto ucciso. Responsabile un quarantenne disoccupato, Cristian Damian Zangari, che ha lavorato all'impresa proprio come un cecchino, ma voleva sparare ai piccioni e non è razzista nemmeno lui, per carità.

Nella stessa giornata a Caserta due centauri non identificati hanno sparato al volto di un immigrato ospite di un centro di accoglienza della zona. Del resto a Caserta l'usanza non è proprio una novità, già pochi giorni prima altri due immigrati erano stati vittime di una aggressione analoga. A voler essere precisi anzi, proprio nel Casertano dovremmo individuare gli ideatori del tiro al piccione: l'originale idea di sparare agli stranieri con arma ad aria compressa pare che sia nata proprio lì, all'inizio di questa afosa estate. Il quotidiano "La Stampa" in un interessante articolo propone oggi la cronistoria delle aggressioni agli stranieri che si sono susseguite nell'ultimo mese a partire dall'11 giugno scorso.

Sono seguite un paio di aggressioni ed insulti a persone di colore impegnate nel loro lavoro presso locali pubblici e la cosa è culminata ieri con il nuovo sport del lancio di uova ad una atleta italiana di colore, che ha riportato una lesione ad un occhio penetrato da un frammento del guscio. Il fatto è avvenuto a Moncalieri in provincia di Torino. Si spera che la cosa non abbia seguiti drammatici, come accaduto ad altri, ma certo non è rassicurante.

In tutto questo alcuni rappresentanti istituzionali, che, diciamocelo, della caccia allo straniero hanno fatto il loro cavallo di battaglia, si sbracciano a dire e sostenere che non c'è razzismo e ad accusare le loro controparti politiche di strumentalizzazione... Da quale pulpito in effetti: no, gli italiani non sarebbero razzisti per propria indole, ma chi ha lavorato per anni con tecniche di social media marketing alla diffusione di fake news sull'accoglienza agli immigrati, sui crimini commessi dagli stranieri sbarcati in Italia, aizzando gli animi della gente esasperata dalla crisi economica e dalla povertà crescente, per dirottare il malcontento sociale lontano dagli scranni del potere e scalarne i vertici, oggi non dovrebbe parlare di strumentalizzazione, per pudore intendo.

Se andate al mare però, fate attenzione a non abbronzarvi troppo, non si sa mai: potrebbero impallinarvi o prendervi a uova marce in faccia. Che sarà mai? Sono scherzi! Mica è razzismo!

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