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La zona d'ombra (Racconto)

Il sole a picco sulla campagna bruciata, l'aria bollente, il sudore appiccicoso, quell'indecifrabile vortice nei pensieri che stordisce, accorciando fiato e prospettiva in una confusione subdola. Aspetta: pensa al prossimo passo, uno per volta. Tocca andare avanti sul sentiero nella calura impietosa con la gola secca: magari si riesce a trovare qualcosa o qualcuno. Da quanto tempo sta camminando? Quanta strada ha percorso? Cosa l'aspetta? Finalmente vede un gruppo di pochi casolari laggiù, sprangati, col deserto intorno: neanche un'anima viva in giro, ma non significa nulla, qualcuno potrebbe essere chiuso all'interno, non aprono, la gente ha paura. Si capisce: c'è la guerra, i soldati requisiscono tutto ed i contadini cercano di nascondere quel poco che hanno da sfamare la famiglia. Se lo vendono è a caro prezzo e si fanno pregare, manco fosse una elemosina, ma non c'è scelta: anche lei ha quattro bambini a casa, dovranno pur mangiare anche loro. 

Busserà a quelle porte, implorerà, denaro alla mano, per un chilo di patate e poi sfinita dalla fatica e dall'umiliazione, rifarà indietro quella stessa strada, nascondendosi le patate nella sottana, perché sui sentieri di campagna si può incontrare ladri, gente cattiva, affamata, capace di vanificare in un solo istante lo sforzo di tutta la mattinata. Ha camminato dall'alba: sperava di recuperare almeno un paio d'uova, un pezzetto di lardo, ma niente da fare, per oggi si farà bastare le patate e la rucola che intanto va raccogliendo lungo la strada, girando gli occhi guardinga. È quasi sera quando finalmente torna a casa e non ha voglia di parlare: è sporca di polvere e terriccio, le si sono appiccicati addosso col sudore ed è sfiancata. Il piccolo corre a riempire una bacinella d'acqua, è per farle rinfrescare i piedi: una cerimonia silenziosa, tributata quasi con venerazione a chi ha portato in casa il santo cibo, quello per il quale si ringrazia sempre il Signore, fossero anche scorze, e ci si fa il segno della croce.

Lei si china lentamente a sfasciare i piedi arrossati e li immerge nell'acqua fredda, poi si china di nuovo a massaggiarli con una scaglia di sapone, mentre controlla quelle due vesciche già rotte alla base dell'alluce che le hanno dato i tormenti mentre camminava. Si riprende, si asciuga ed esce in cortile: al lavatoio si rinfresca il viso e le mani e quindi prende ad accendere il fuoco. Sbuccia le patate con attenzione meticolosa, tagliando via solo la sottilissima pellicola bruna, perché non vada sciupato neanche un briciolo della polpa, le lava con l'erba raccolta sul sentiero, taglia tutto a pezzi e cuoce con qualche pomodoro di conserva, custodito nella credenza. Un po' di sale ce l'abbiamo, ma niente lardo e niente latte per domani mattina. È la guerra, è dura per tutti.

Si dispongono intorno alla tavola per il desinare: c'è la grandicella ad occuparsi di apparecchiare ed anche di accompagnare il nonno ormai un po' malfermo sulle gambe fino alla sua sedia a tavola. Ha già perso la moglie il vecchio due anni prima e sembra non voglia saperne di morire a sua volta, ostinandosi invece ad aspettare il ritorno del figlio, disperso nella campagna d'Africa e di cui mancano notizie ormai da sei anni. Si segnano, il nonno benedice la tavola, ringrazia Dio e lei, la madre, distribuisce  nei piatti  prima i pochi pezzi di pane raffermo e poi la zuppa di verdura e patate: attenta alle porzioni. sono in sei e lei riesce ad accontentare tutti, del resto nessuno, in nessun caso, oserebbe lamentarsi o protestare.



  


Commenti

  1. Commozione allo stato puro. Racconto (forse) ma con tanta verità dentro.
    Chapeau!

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    Risposte
    1. Grazie Patricia: attenta e profonda come sempre :-)

      Elimina

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