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Il deserto dei Tartari: il senso dell'attesa

Nel corso di questi lunghi giorni di quarantena e forzata inattività mi sta accadendo di ricordarmi e ripensare spesso ad una vecchia lettura fatta tanti anni fa da giovane: si tratta di un romanzo che non ritrovo più nei miei scaffali e che forse sarà andato perduto nel corso di qualcuno dei miei numerosi traslochi o che forse ho prestato in giro e poi... dimenticato. Parlo del romanzo di Buzzati: "Il deserto dei Tartari". Ne conservo una memoria vivida per la particolare suggestione vissuta da me per la prima volta tra le righe di quel libro: il paesaggio immenso, immobile e deserto, il clima di attesa carica di tensione del protagonista e di quegli sfocati personaggi che gli si aggirano intorno, i sogni eroici fantasticati nella mente ed il tempo che trascorre inesorabilmente consumando la vita.

L'intreccio della storia nella mia lettura non ha avuto alcuna importanza, ma quello che invece mi colpiva profondamente era proprio il vissuto di quell'attesa protratta così a lungo fino a diventare una massa informe e confusa che inglobava tutto. Nel deserto dei Tartari annegavano le giovanili speranze di gloria, l'amore desiderato, il fascino dello spazio sconfinato, l'attesa che diviene attesa del tempo stesso, dilatato nell'immobilità e nel trascorrere della vita ripiegata in se stessa. 

Abitualmente  noi misuriamo il tempo come funzione del movimento, è proprio una legge della fisica: Velocità = Spazio/Tempo da cui si deduce che il tempo è uguale allo spazio fratto la velocità. In realtà la nostra umana percezione del tempo è una funzione del movimento: un movimento inscindibile ed ineliminabile dalla condizione dell'essere vivi. Nella formula fisica abbiamo spostato i parametri come se il tempo fosse un'entità oggettiva a sé stante, ma non è così: il tempo è una nostra percezione. Nello spazio immenso e privo di movimento possiamo sentirci permeati da una sensazione di eternità.

Eppure questo tempo può trascorrere nell'immobilità apparente di ciò che ci circonda come un eterno presente scandito solo dall'invecchiamento del nostro organismo, dal dispiegarsi e ripiegarsi dei nostri pensieri, dal dimenticare i rimpianti, dallo svuotare di senso la vita stessa naufragata in un sogno lanciato oltre la durata che ci è concessa. Il tempo ci tradisce. Ecco: tutto questo ed altro ancora che mi è ora difficile spiegare rappresentò allora per me quel romanzo che in qualche modo riusciva a risucchiare nella tensione flebile ma persistente di quell'attesa anche il lettore. Io mi ero convinta che non sarebbe mai accaduto nulla e che la vita, questa biografia del protagonista, sarebbe rimasta troncata, sospesa nella morte come lo era stata in vita.

La conclusione del deserto dei Tartari invece mi riservò una sorpresa: amarissima e beffarda certo, né avrebbe potuto essere diversamente, ma non la rivelerò qui. Chi vuole può leggere il libro: io non posso rileggerlo perché non lo trovo più ed anzi al riguardo vorrei raccomandarvi di non prestare mai i vostri libri perché difficilmente tornano indietro. I libri regalateli con generosità, ma non prestateli: mai!



Commenti

  1. L'accettazione della morte è un rinascere della vita.

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    1. Si, ma non si tratta esattamente di questo Gus, forse invece se sia possibile vivere interiormente la morte, pur rimanendo vivi.

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  2. Il tempo ci logora, meglio vivere ogni istante felice.
    Saluti a presto.

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    1. Facile a dirsi, ma non conosco persone capaci di vivere felicemente ogni istante della propria vita: di certo non lo era il protagonista di questo romanzo.

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  3. Non conosco questo libro, ma sono d'accordo sul fatto di non prestarli mai.
    Io lo facevo con i dvd e praticamente non ne possiedo più. 😭

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    1. Ti consiglio di leggerlo: a me piacque molto a suo tempo.

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  4. Ho acquistato il libro qualche tempo fa ma non l'ho ancora letto. Devo recuperarlo assolutamente, mi hai incuriosita. Concordo sul non prestare mai i libri. Io ne ho prestati alcuni qualche anno fa e sto ancora aspettando che mi vengano restituiti😂.

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  5. Anch'io ho un ricordo vivido di questo libro, letto in spiaggia almeno 20 anni fa. Il finale è riuscito a commuovermi.

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    1. Anch'io credo di averlo letto oltre vent'anni fa: forse anche trenta, ma è uno di quelli che lasciano un'impronta. Benvenuto Kermitil e buona domenica.

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