Avviso

Attenzione: questo è un blog antifascista ed antirazzista. Gli esseri umani sono tutti benvenuti. Grazie per la visita!

Nome

Email *

Messaggio *

Tutto in una notte (racconto)

Guardava il cielo color pece, fantasticandolo come un fiore carnoso dai petali neri e granelli di pollini d'argento, schiusosi lentamente sulla frescura al calar del sole, fino a coprire interamente la volta celeste. Poteva percepirne il respiro umido come un sordo brusio cadenzato, sincrono alla vibrazione della sabbia brillante cosparsa sui petali. Tenendo fisso lo sguardo, l'oscillazione era chiaramente percepibile. A tratti un puntino sembrava staccarsi in fuga e sparire velocemente inghiottito da un sospiro più pesante, nella selva indistinta dei petali. Qualche screziatura sfumata, come una venatura vitale e pulsante si armonizzava a quel respiro capace di rapire anche il suo stesso fiato, così piccolo e sperduto alla finestra. Per un attimo se ne sentì ingoiata: 
- e se fosse un fiore carnivoro? -
Questo pensiero si formulò nella sua mente senza che lei lo volesse, quasi disegnando le parole come immagini e suggestioni tali da farla trasalire all'improvviso. La sua fantasia aveva un che di inquietante, rifletté, mentre dentro di sé pavidamente si affrettava a prenderne un po' di razionale distanza. Sorrise tenuemente, stringendo appena gli occhi ed accennando la sua unica ruga tra le sopracciglia: il suo era un sorriso indulgente, comprensivo e profondo. Il sorriso rassicurante di chi riconosce e si riconosce in qualcosa o qualcuno e sa come fare, senza paura. 

L'operazione era riuscita: i pensieri contratti in un cantuccio, presero a spiegarsi più leggeri, scorrendo in un flusso continuo destinato a disperdersi nell'aria buia e sparire, inghiottiti anch'essi dal respiro di quei petali vivi e misteriosi, così come sparivano i granelli di polline luminoso. Ed ecco che se ne staccava un intero grappolo, ma erano infinitamente più veloci del suo pensiero: inglobavano lo sguardo senza mollarlo e sparivano molto prima che lei riuscisse a dirigerlo nuovamente dentro di sé per cercare e gridare il suo desiderio.

Faceva tanto caldo quella notte: non era riuscita a riposare per nulla, malgrado il bicchierino con le tre compresse curative (ma di cosa?) che i fantasmini in camice bianco non mancavano di somministrarle dopo cena. Non che le prendesse volentieri: a volte se ne sentiva rallentata ed impigrita ed a volte si sentiva come estraniata da se stessa. Faceva fatica a riconoscersi: si era lasciata cadere ed era divenuta invisibile come i puntini luminosi celati tra le pieghe dei petali. Esisteva un mondo lì fuori: aveva avuto dei genitori, dei fratelli e degli amici, perfino un fidanzato, ma i lineamenti dei loro volti sembravano disfarsi e dileguarsi nel buio come ogni altra cosa, magari non sarebbe riuscita neanche a riconoscerli: era da tanto tempo che non li incontrava più. Erano anni ormai che non riceveva visite e neanche lo scorso natale  aveva visto qualcuno. Si erano dimenticati di lei, sparita dietro quei muri e la finestra con l'inferriata a rombi, anche carina poi, in ferro battuto e decorata con un motivo floreale: foglie e petali che si inseguivano, infilandosi e come germogliando l'uno dall'altro.

Il posto era bello, immerso nel verde e con un giardino interno molto curato, anche il mondo era bello, ma solo il cielo non l'aveva ancora tradita, tutti gli altri si, lo avevano fatto ed ora non volevano da lei più nulla, per questo si erano allontanati. La vita e le persone sono strane ed ingiuste: c'è chi deve avere qualcosa da offrire per essere accettato e forse non viene mai accettato veramente, ma solo usato finché serve e poi invece ci sono quelli che non sono mai riusciti a servire a nulla ed a nessuno, neanche a se stessi e vengono curati, coccolati ed amati da tutti. Ecco lei non serviva più a nessuno evidentemente: che pensiero sgradevole. Si sentì arrabbiata: le foglie scure dell'inferriata sembrarono dilatarsi a loro  volta, ma il rombo restava piccolo, riusciva al massimo ad infilarci il suo braccio magro, graffiandoselo sulla punta dei petali.

Il cielo da lei si aspettava qualcosa: le era rimasto vicino e non l'aveva tradita per un motivo, forse voleva davvero ingoiarla, pensò. Si volse verso l'interno della camera: c'erano poche cose, il necessario per mantenersi in vita, ma non riusciva a coglierne il senso. Avrebbe voluto pungersi per provare una sensazione forte, vedere il colore del suo sangue: forse l'avrebbe aiutata a capire cosa era la sua vita, ma per quanto frugasse intorno, non trovava nessun oggetto utile per questo scopo. Gli oggetti appuntiti e taglienti non facevano parte dell'arredo della camera.

La cosa la stizzì ancora: si fa così con i bambini, ma lei non lo era, però... un momento: un pensiero febbrile correva al piccolo specchio posizionato nel bagno in una cornice di plastica bianca. Lo specchio le restituì l'immagine del suo volto: le apparve di straordinaria bellezza, i capelli neri ricci spettinati e lucidi le ricadevano sulla fronte ad incorniciare la luce sfuggente e profonda del suo sguardo paludoso. Sorrise ancora, poi gli occhi divennero lucidi e scintillanti come i pollini del cielo. Doveva riuscire ad essere silenziosa: c'era sempre qualcuno a spiare i rumori e non voleva essere sorpresa. Smontò con cautela lo specchietto dal muro e con pazienza, rovinandosi qualche unghia, riuscì a rimuoverne la cornice, mise ciò che restava per metà sotto la scarpa, afferrando saldamente il bordo dal lato opposto e lo spezzò. Si era appena ferita leggermente la mano e qualche goccia di sangue cominciò a gocciolare lentamente sul pavimento. Ma non le bastava: voleva creare una polvere di fata prodigiosa e scintillante e vederla cadere dalla finestra. Se fosse stata lei a farlo, sapendo cosa succedeva e potendolo prevedere, avrebbe di sicuro avuto il tempo di gridare il suo desiderio.

Lo fece, con pazienza ed incurante delle ferite: arrivata ai pezzi più piccoli cominciò a martellarli leggermente col tacco della scarpa, poi sempre più forte con entusiasmo crescente e intanto si guardava spezzettarsi in quei frammenti. Finì raccogliendo il tutto a mani nude e lasciando cadere le lame luminose dalla finestra. Ora urlava: era il suo desiderio. Quale? Urlare finché qualcuno la vedesse e  finalmente qualcuno accorse: dovettero sedarla e poi furono necessari alcuni interventi per rimuovere alcuni pezzi di vetro rimasti conficcati nella carne da qualche parte. Affrontò tutto stoicamente, senza mai lamentarsi. Sorrideva, gli occhi le brillavano: chi altri poteva vantarsi di avere vinto contro il cielo?




Commenti

  1. STupendo!
    Quanta tristezza e quanta forza dettata da disperazione nella protagonista! Però, sì, alla fine ha vinto lei. Contro il cielo. Contro quella se stessa che ritiene debole e non le piace.
    Complimenti vivissimi Chaos!

    RispondiElimina

Posta un commento

Allora? Vuoi dirmi che ne pensi?

Grazie per ogni contributo, tieni solo presente che:

* I commenti non inerenti l'argomento del post verranno considerati messaggi personali e privati.
** I commenti contenenti link verranno considerati spam.
*** I commenti contenenti insulti, volgarità e/o attacchi personali a chiunque, non verranno affatto considerati.

I tre generi di commenti sopra elencati non saranno pubblicati o, se erroneamente pubblicati, verranno rimossi appena possibile.

Grazie a tutti per la lettura ed il tempo dedicato al post.
Grazie a quelli che lasceranno una traccia del loro pensiero.

Potrebbero interessarti anche:

Gli invisibili

L'antica saggezza dei proverbi: "O munn è comm un so fà 'ncapa"

Chiacchiere e tabacchere e’ lignamm o’ Banco ‘e Napule nun ne ‘mpegna!

"Ire piro e nun facive pere, mò ca si santo che miracule vuò fa'?". Un proverbio antico.

Le sette (vere) poesie più brevi al mondo