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Il mistero della mamma scomparsa (parte quinta)

Finito di sistemare l'angolo di Marco nello studio, la nonna continuò a sfaccendare e ciabattare in giro per casa, sparecchiò e ripulì pure il tavolo della colazione, sfilando con noncuranza anche il cucchiaino dalle dita del ragazzo, con un gesto naturale simile a quello usato per togliere la tazza dal tavolo. Quando fu tutto sistemato, la nonna lo avvisò che stava uscendo per alcune commissioni, ma prima di scendere lo condusse all'unico balconcino della casa che affacciava sul cortile interno, spiegandogli che se lo desiderava poteva andare a curiosare e giocare in cortile a condizione di non uscire dal portone. Marco l'aveva lasciata parlare e l'aveva seguita docilmente quando lei l'aveva preso per mano, ma non le aveva risposto, finché la nonna incuriosita e forse anche un pò inquietata da quel silenzio non gli si era posta di fronte, chinandosi a cercare il suo sguardo: lui allora la guardò per un attimo, quindi chinò il capo in un lieve cenno di assenso.
Adele scosse il capo ed infine si decise ad allontanarsi.

Rimasto solo, Marco cominciò a gironzolare per la stanza, senza sapere esattamente cosa stesse facendo: era frastornato ed ancora con quella indefinibile sensazione di testa vuota.
Ad un certo punto varcò la soglia del misterioso studio laboratorio della nonna: la camera era, se possibile, ancora più caotica di come l'aveva vista il giorno prima, i quadri ed i rotoli erano stati spostati ed accatastati su una parete insieme a pile di libri, sedie piegate, uno scaletto in legno ed un alambicco di vetro e metallo dorato. Sul tavolo ora c'erano anche alcune ampolle di vetro di forme diverse, pulitissime e brillanti, che stonavano accanto ai libri impolverati: in un angolo della stanza invece, dove prima erano state ammonticchiate le tele ora spostate, era stato ricavato uno spazio che gli apparve lucente e colorato come se si trovasse all'interno di una grossa bolla di sapone iridescente.

La bolla attraeva Marco, che vi si si diresse più o meno con la consapevolezza di un automa: riconobbe sul lettino la sua trapunta ricamata con pupazzetti colorati, il lettino era lindo e vi troneggiava un guanciale candido e soffice. Alcune cassette erano state impilate ed addossate alla parete a formare una piccola libreria, dove avevano trovato posto in bell'ordine i libri ed i quaderni della scuola e poi anche le penne e le matite colorate, c'erano  un piccolo tavolino ed un sgabello che somigliavano in tutto ad un banchetto, sicché il primo pensiero chiaro che Marco riuscì a formulare quella mattina fu che quel banchetto gli sarebbe servito a svolgere i compiti di scuola e sorrise indovinando che in questo modo avrebbe potuto osservare i traffici e gli esperimenti della nonna, sorprendendosi a non avere più paura di ciò che conteneva, né di quanto poteva avvenire in quello studio bislacco, che era riuscito a spaventarlo appena il giorno prima.
A volte le cose si rivelano proprio diverse da come uno se le aspetta per quel che ne ha sentito raccontare o forse era la presenza dei suoi oggetti familiari a rincuorare Marco: notò anche che sull'altra parete accanto al lettino c'erano alcuni dei suoi giochi preferiti, disposti su una mensola e sotto quella un bastone e dei ganci a cui erano appesi i  vestiti che il papà doveva avere portato in valigia.
Prese il suo pupazzo dalla mensola e lo mise a riposare nel lettino, sotto le lenzuola, curandosi di rimboccarle a dovere, quindi uscì dalla bolla ed attraversò coraggiosamente il disordine inquietante del resto della stanza: questa volta sapeva dove andare, l'idea era di esplorare il cortile intravisto all'arrivo col padre, dove forse avrebbe incontrato altri ragazzini.

Il resto della giornata, Marco la trascorse in cortile dove prese confidenza con altri due bambini, anche se non rivide lo spilungone del giorno prima e si chiese quando lo avrebbe incontrato.
Tornò a casa solo per il pranzo e la cena, quando la nonna lo chiamò: in qualche modo questo ripercorreva un ritmo che gli era già stato abituale, l'unica differenza era che tutte e due le volte cominciò ad attendere con una specie di nuova apprensione il momento in cui la nonna lo avrebbe chiamato e quando la sentì ne fu sollevato e corse in casa senza indugiare, contrariamente a quanto era solito invece fare con la mamma.

Quando fu ora di andare a letto, Adele accompagnò il bambino e gli propose di leggergli una fiaba: prese uno dei suoi libroni e cominciò a recitare ogni riga, era una storia lunga e complicata nella quale Marco si senti trascinato, ma era così stanco che chiuse gli occhi giusto in groppa ad un ippogrifo continuando senza accorgersene a sviluppare la trama della fiaba nei suoi sogni.

Il cavallo alato volava ad una altezza vertiginosa mentre Marco, eccitato dallo stupore e dallo spavento, stringeva e si attorcigliava con forza alla lunga criniera: passavano di volta in volta nell'aria nitida ed azzurra e poi attraverso nebbioline luminose che sfumavano magicamente i colori della luce.
Nella sua corsa il destriero attraversò il confine del giorno e tutto intorno a loro divenne sempre più nero, il vento diventò tagliente ed a tratti Marco sentiva penetrare nel petto un raffica gelida come una lama di ghiaccio. I contorni delle cose erano deformati ed indistinti, come disegnati col carboncino nero sullo sfondo color pece. Nella sua folle galoppata l'ippogrifo giunse fino ad una spianata percorsa dai nitriti e dal galoppo di molti altri cavalli alati: antistante alla pianura un rudere in pietra con tutte le mura diroccate, ma al cui interno e visibile dall'alto c'era una camera arredata di cupole triangolari rivestite di stoffe e festoni di colore scuro. Dentro le mura un gioco d'ombre confuse ed imprigionate dagli ippogrifi che con le loro corse impazzite  intorno al muro di recinzione rendevano pericoloso ed impossibile attraversare la pianura:
- Mamma... - sussurrò Marco in un sibilo subitaneo e veloce come una raffica di vento ed in quell'istante qualcosa brillò come il raggio di una stella tra le cupole del rudere mentre un fiato tiepido gli sfiorava l'orecchio.
Si svegliò di soprassalto, con il fiato troncato in gola e la fronte madida di sudore: il cuore sembrava stargli uscendo dal petto tanto pulsava con violenza. Si guardò intorno confuso dal sonno e dall'angoscia: un grosso orologio rotondo sopra le cassette porta libri segnava le tre del mattino, ma il cielo era limpido ed illuminato dal chiarore della luna. Marco strizzò gli occhi serrandoli con tutte le forze e si raggomitolò, schiacciandosi sulla pancia il suo pupazzo, ma rimase sveglio fino alle prime luci dell'alba: solo quando sentì di nuovo il tonfo ritmico ed attutito delle ciabatte di Adele si lasciò di nuovo sopraffare dalla stanchezza e scivolò nell'incoscienza.

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