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Le dipendenze, parte seconda: ovvero dove andiamo a parare

                                                                                                                11/04/2013

Non tradirò in questa seconda parte l'impostazione iniziale che ho voluto dare al discorso nella nostra prima conversazione: insomma voglio giocarci senza farne drammi, tanto quelli continueranno ad esistere nella realtà e ci toccherà occuparcene comunque, sicché, almeno quando ne parliamo, meglio provare a dare un taglio piacevole alla nostra chiacchierata.

Oggi non analizzeremo le carenze ed i traumi (reali o supposti) che possono avere sofferto le persone che scivolano in qualche forma di dipendenza, anche perché se voi provate a fare qualcosa del genere con una persona afflitta da dipendenza (quale che sia) è facile che vi rida in faccia, ma se dovesse darvi l'impressione di starvi prendendo sul serio, non dubitate: per qualche motivo che ancora non siete riusciti a cogliere, cerca di gratificarvi e farvi sentire importanti ed intelligenti (una banale tecnica di manipolazione, conosciuta fin dall'antichità e denominata "adulazione").
Poi, per carità, si può anche fare, se ne siete proprio convinti, ma ...

Oggi io vorrei domandarmi e domandarvi, invece, cosa accade intorno ad una persona che sviluppa una dipendenza e quale è il percorso che viene a tracciarsi intorno a questa cosa.
Naturalmente esistono diverse possibilità, ma mi limiterò alle due situazioni fondamentali , scusandomi in anticipo per quanto capitasse di tralasciare per disattenzione o dimenticanza, giacché i casi della vita sono infiniti (ma non così questo post) e dunque procediamo:
1° caso, questa persona non ha alcuna relazione affettiva significativa e di conseguenza nessuno si accorge, né si preoccupa di nulla, finché la persona non muore o non arriva all'attenzione delle istituzioni (sanitarie, sociali,, etc.) => questa persona a questo punto trova qualcuno che si occupa di lei e della sua sofferenza oppure smette definitivamente di soffrire.
2° caso, questa persona ha una famiglia e degli amici i quali si preoccuperanno, vivranno di ansie e patemi d'animo e => soprattutto non potranno smettere di prendersi cura della persona con la dipendenza.

In entrambi i casi è abbastanza evidente che si tratta di una persona che non ce la fa a farsi carico di se stessa ed a prendersi cura di se stessa, insomma una persona che non riesce a  volersi bene, checché voglia poi sostenere al riguardo (questa è la radice della componente autodistruttiva del sintomo) e, almeno nel 2° caso, non riesce a volere bene neanche a chi le sta intorno, essendo di solito consapevole del disagio che produce in chi le sta vicino (componente eteroaggressiva). 
Riguardo a quest'ultimo aspetto va detto che, non sempre, ma abbastanza spesso, la parte di aggressività e di distruttività dirette all'esterno possono risultare più  o meno intensamente colpevolizzanti e solo parzialmente mitigate dalla convinzione  di non poter fare diversamente, dato che la dipendenza sembra privare il soggetto della capacità di scelta.
Il senso di colpa, d'altro canto, ingrassa l'energia autodistruttiva, per cui tendenzialmente si viene a creare un circolo vizioso. 
Ora lecitamente uno potrebbe chiedersi: ma se una persona non mi vuol bene ed è arrabbiata con me , perché dovrebbe sentirsi in colpa se riesce a farmi del male? 
Beh, evidentemente c'è confusione ed ambivalenza affettiva ...

La domanda sensata a questo punto è: come venirne a capo? Non credo  vi siano risposte, tanto meno univoche, ma potremmo provare a parlarne alla prossima occasione.



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