Storia dell'intramontabile camicia di forza ... ovvero: ammissibilità della contenzione fisica in psichiatria?
Non lo avrei creduto possibile, ma si torna a parlare dell'uso della contenzione fisica nella pratica psichiatrica.
Mi spiego e lo faccio per i più giovani, quelli nati dopo la rivoluzione di Basaglia e l'emanazione dell'omonima legge (n.180 del 13 maggio 1978): i mezzi di contenzione esistevano e se ne faceva largo uso prima dell'avvento degli psicofarmaci.
Dopo l'introduzione delle terapie con neurolettici la contenzione degli ammalati è divenuta prevalentemente farmacologica: attualmente la limitazione fisica non è consentita o non lo sarebbe, benché sia difficile credere che essa sia completamente scomparsa dall'uso.
L'argomento è tornato all'attenzione grazie alla prossima chiusura degli OPG (ospedali psichiatrici giudiziari) ed il sito dell'Istituto Superiore di Sanità nei giorni scorsi ha presentato una pubblicazione di Carlo Petrini, responsabile dell'unità bioetica dell'ISS, che prende in considerazione gli aspetti etici e giuridici dell'uso della contenzione fisica in psichiatria.
La cosa preoccupante è che:
"L’autore propone alcuni criteri per giudicare l’eventuale ammissibilità della contenzione"
Per dare un'idea della realtà di cui parliamo e dei diversi sistemi e strumenti atti ad ottenere l'immobilizzazione completa della persona, proverò ad illustrare con immagini il concetto: le immagini presentate qui sono pubbliche e scaricate da Google.
Questa nella figura è la famosissima e classica camicia di forza: si tratta di un indumento di tela molto robusta con le maniche lunghissime.
Una volta indossata, chiusa e stretta indosso, l'eccedenza del tessuto delle maniche viene utilizzata come una corda, le braccia sono incrociate fra loro davanti, mentre i lembi delle maniche vengono annodati dietro la schiena, così da precludere qualsiasi possibilità di movimento agli arti superiori. Ne esistevano ovviamente diversi modelli e varianti.
La contenzione così ottenuta è parziale, impedendo in sostanza l'uso delle mani, ma indubbiamente umiliante e fastidiosa per chi la indossa.
Quando invece si riteneva necessario un controllo più completo del movimento dell'individuo era possibile ricorrere al lettino di contenzione.
Parliamo di un letto dotato di bracciali, cavigliere e cinghie pelviche e/o toraciche, fatte di cuoio o altro materiale resistente, che immobilizzano quasi completamente il soggetto, lasciando relativamente liberi i movimenti della testa e del cingolo scapolare.
Ma certo la cosa non finisce qui: esistevano ancora diverse e, nel loro genere fantasiose ed ingegnose, modalità di immobilizzazione, non prive peraltro di rischi, come quelle che venivano utilizzate per prevenire la pica (sarebbe a dire la cattiva abitudine d ingerire oggetti di natura non alimentare) presente in alcuni pazienti gravi e regrediti ... certo è capitato che qualcuno ci si sia impiccato in queste strane forme di legacci, ma .. accadeva nel chiuso dei manicomi ed i casi erano molto difficilmente documentabili ...
Questo per dare un'idea di ciò di cui stiamo parlando.
Va detto senza ipocrisia che prima degli psicofarmaci non era possibile gestire diversamente una crisi di agitazione ad esempio, in presenza di rischi per la incolumità dello stesso ammalato e di altre persone.
Tutt'oggi nel caso di un paziente ambulatoriale che rifiuta il trattamento farmacologico è probabile che venga utilizzata qualche forma di contenzione, almeno per il tempo necessario alla somministrazione dei farmaci, piuttosto che lasciarlo andare in giro a fare guai ed in attesa del TSO.
Quel che è sicuro, tuttavia, è che la tecnica è stata abbondantemente abusata in passato e per lo più utilizzata in chiave punitiva, piuttosto che per la contenzione vera e propria limitata ai momenti critici.
Sotto il profilo tecnico (mi sia consentita questa breve digressione appena un tantino ironica) potremmo assimilare la contenzione fisica ad una (ancorché estrema) tecnica di prevenzione della risposta ovvero una delle strategie meno simpatiche della terapia comportamentale
Diversamente da quanto avviene nella desensibilizzazione sistematica, dove la risposta patologica viene estinta attraverso la gradualità della esposizione a stimoli scatenanti associati a condizioni piacevoli e rassicuranti, con la prevenzione della risposta invece, viene in qualche modo auto imposto o imposto in un contesto terapeutico di controllarsi e costringersi a non produrre la reazione indesiderata.
Tenere i polpastrelli incerottati per aiutarsi a gestire la compulsione di rosicchiare le unghie, può essere considerata una forma di prevenzione della risposta, così come usare un indumento quale una tuta allacciata indietro può prevenire l'abitudine che sviluppano alcuni pazienti molto regrediti di denudarsi ed esporre la proprie parti intime ripetutamente in pubblico.
Disumano? Si, certamente e con molta evidenza: viviamo in un mondo in cui desterebbe scandalo ed indignazione anche tenere alla catena un cane feroce ed addestrato all'attacco ....
Non sortisce alcun effetto terapeuticamente utile la contenzione fisica: "vi sono opinioni convergenti nel ritenere che essa non abbia alcun valore terapeutico" recita la presentazione dell'ISS.
Certo vorrei conoscere l'individuo capace di sostenere che l'essere legati o incatenati abbia valore terapeutico, ci mancherebbe questa ... ma alla fine e comunque si cerca in qualche modo di ripristinarne l'ammissibilità e nessuno ne parla ... silenzio in tutti i media, rete compresa!
Mi spiego e lo faccio per i più giovani, quelli nati dopo la rivoluzione di Basaglia e l'emanazione dell'omonima legge (n.180 del 13 maggio 1978): i mezzi di contenzione esistevano e se ne faceva largo uso prima dell'avvento degli psicofarmaci.
Dopo l'introduzione delle terapie con neurolettici la contenzione degli ammalati è divenuta prevalentemente farmacologica: attualmente la limitazione fisica non è consentita o non lo sarebbe, benché sia difficile credere che essa sia completamente scomparsa dall'uso.
L'argomento è tornato all'attenzione grazie alla prossima chiusura degli OPG (ospedali psichiatrici giudiziari) ed il sito dell'Istituto Superiore di Sanità nei giorni scorsi ha presentato una pubblicazione di Carlo Petrini, responsabile dell'unità bioetica dell'ISS, che prende in considerazione gli aspetti etici e giuridici dell'uso della contenzione fisica in psichiatria.
La cosa preoccupante è che:
"L’autore propone alcuni criteri per giudicare l’eventuale ammissibilità della contenzione"
Per dare un'idea della realtà di cui parliamo e dei diversi sistemi e strumenti atti ad ottenere l'immobilizzazione completa della persona, proverò ad illustrare con immagini il concetto: le immagini presentate qui sono pubbliche e scaricate da Google.
Questa nella figura è la famosissima e classica camicia di forza: si tratta di un indumento di tela molto robusta con le maniche lunghissime.
Una volta indossata, chiusa e stretta indosso, l'eccedenza del tessuto delle maniche viene utilizzata come una corda, le braccia sono incrociate fra loro davanti, mentre i lembi delle maniche vengono annodati dietro la schiena, così da precludere qualsiasi possibilità di movimento agli arti superiori. Ne esistevano ovviamente diversi modelli e varianti.
La contenzione così ottenuta è parziale, impedendo in sostanza l'uso delle mani, ma indubbiamente umiliante e fastidiosa per chi la indossa.
Quando invece si riteneva necessario un controllo più completo del movimento dell'individuo era possibile ricorrere al lettino di contenzione.
Parliamo di un letto dotato di bracciali, cavigliere e cinghie pelviche e/o toraciche, fatte di cuoio o altro materiale resistente, che immobilizzano quasi completamente il soggetto, lasciando relativamente liberi i movimenti della testa e del cingolo scapolare.
Ma certo la cosa non finisce qui: esistevano ancora diverse e, nel loro genere fantasiose ed ingegnose, modalità di immobilizzazione, non prive peraltro di rischi, come quelle che venivano utilizzate per prevenire la pica (sarebbe a dire la cattiva abitudine d ingerire oggetti di natura non alimentare) presente in alcuni pazienti gravi e regrediti ... certo è capitato che qualcuno ci si sia impiccato in queste strane forme di legacci, ma .. accadeva nel chiuso dei manicomi ed i casi erano molto difficilmente documentabili ...
Questo per dare un'idea di ciò di cui stiamo parlando.
Va detto senza ipocrisia che prima degli psicofarmaci non era possibile gestire diversamente una crisi di agitazione ad esempio, in presenza di rischi per la incolumità dello stesso ammalato e di altre persone.
Tutt'oggi nel caso di un paziente ambulatoriale che rifiuta il trattamento farmacologico è probabile che venga utilizzata qualche forma di contenzione, almeno per il tempo necessario alla somministrazione dei farmaci, piuttosto che lasciarlo andare in giro a fare guai ed in attesa del TSO.
Quel che è sicuro, tuttavia, è che la tecnica è stata abbondantemente abusata in passato e per lo più utilizzata in chiave punitiva, piuttosto che per la contenzione vera e propria limitata ai momenti critici.
Sotto il profilo tecnico (mi sia consentita questa breve digressione appena un tantino ironica) potremmo assimilare la contenzione fisica ad una (ancorché estrema) tecnica di prevenzione della risposta ovvero una delle strategie meno simpatiche della terapia comportamentale
Diversamente da quanto avviene nella desensibilizzazione sistematica, dove la risposta patologica viene estinta attraverso la gradualità della esposizione a stimoli scatenanti associati a condizioni piacevoli e rassicuranti, con la prevenzione della risposta invece, viene in qualche modo auto imposto o imposto in un contesto terapeutico di controllarsi e costringersi a non produrre la reazione indesiderata.
Tenere i polpastrelli incerottati per aiutarsi a gestire la compulsione di rosicchiare le unghie, può essere considerata una forma di prevenzione della risposta, così come usare un indumento quale una tuta allacciata indietro può prevenire l'abitudine che sviluppano alcuni pazienti molto regrediti di denudarsi ed esporre la proprie parti intime ripetutamente in pubblico.
Disumano? Si, certamente e con molta evidenza: viviamo in un mondo in cui desterebbe scandalo ed indignazione anche tenere alla catena un cane feroce ed addestrato all'attacco ....
Non sortisce alcun effetto terapeuticamente utile la contenzione fisica: "vi sono opinioni convergenti nel ritenere che essa non abbia alcun valore terapeutico" recita la presentazione dell'ISS.
Certo vorrei conoscere l'individuo capace di sostenere che l'essere legati o incatenati abbia valore terapeutico, ci mancherebbe questa ... ma alla fine e comunque si cerca in qualche modo di ripristinarne l'ammissibilità e nessuno ne parla ... silenzio in tutti i media, rete compresa!
T(rattattamento) S(anitario) O(bbligatorio), di già che l'hai accennato ma non spiegato è riferito al trasferimento di un Paziente in stato di alterazione causato da assunzione di psicogeni o per problemi di natura mentale che potrebbe essere pericoloso per se stesso o per gli altri.
RispondiEliminaL'unico a cui ho partecipato, il giovane si era nel frattempo calmato ma in ogni caso si è accompagnati da un Tutore della Legge (nel mio caso era un Carabiniere) disarmato con il Collega che ci seguiva in Auto ma capita anche che debba intervenire un mezzo MSA (mezzo di soccorso avanzato) con a bordo un Medico del 118 in grado di somministrare eventuali calmanti.
Mentre per quanto riguarda la Camicia di Forza ed i vari lettini di contenzione ho avuto modo di vedere come vengono utilizzati in vari Film, e il problema di base anche se ufficialmente sono mezzi vietati è che in alcune strutture (lager) siano ancora utilizzati e figuriamoci se ne venisse reintrodotto l'uso...
Degradante, ed umiliante a mio avviso. :-(
Assurdo ed ingiustificabile: credo che il tenore del mio post non lasci dubbi sulla mia opinione al riguardo! Ciao Illusione.
RispondiEliminaTemo ci sia una tendenza molto forte da parte degli Psichiatri, in quest'epoca di regresso e involuzione sociale, a caldeggiare il ritorno della famigerata camicia di forza e l'adozione della devastante pratica dell'elettroshock, come mezzo terapeutico, a mio avviso, devastante, che la legge Basaglia condannò e abolì dai protocolli adottati fino ad allora. Senza nulla togliere alla bravura di molti professionisti, evitando di fare di tutte le erbe un fascio, confesso che una cospicua parte di costoro, posseduta da delirio d'onnipotenza e pervasa da tendenze Lombrosiane, vorrebbe continuare ad esercitare alla vecchia maniera, quando legalizzato da una legge assurda, si arrogava il potere assoluto di vita o di morte su cittadini inermi, la cui unica colpa era quella di essersi recati presso i loro studi, consigliati da altri professionisti che avendo fallito nel tentativo di guarigione, li avevano etichettati come pazienti psichiatrici. Quell'ultima spiaggia per una persona sofferente che speranzosa si aspetta un beneficio dalle cure praticate per un'ipotetica carenza di sostanze chimiche nel cervello, come la serotonina, la noradrenalina(come se ci fossero test al momento che potessero validare questa tesi) e poi si sente più male di prima e ggiù lì, con altri psicofarmaci che rimbambiscono completamente un povero individuo che magari era stato indirizzato dal collega internista che lavandosene graziosamente le mani lo aveva scaricato nelle mani dell'altro collega pronto a catalogarlo con la diagnosi più in vogo in quel momento. Mai essere umano è uscito da quegli ambulatori senza diagnosi pesanti. "Perdete ogni speranza o voi ch'entrate", oltre che sulla porta dell'Inferno, dovrebbe essere posto sulla porta d'ingresso di ogni studio psichiatrico. La presunzione di poter fare diagnosi a prima vista, basandosi sulla fisiognomica, mi fa rabbrividire e di ciò parlo nell'articolo in due parti che ho pubblicato sotto, dal titolo, "I Musei degli Orrori", per rafforzare il mio dissenso verso certe pratiche invasive che ledono la persona nella propria interezza fisica e le strappano la dignità! By Lidia Peritore
EliminaI MUSEI DEGLI ORRORI
RispondiEliminawritten by Lidia Peritore
Auschwitz mi sconvolse! Per visitare il campo di sterminio nazista, dovetti fare appello a tutte le mie forze, sapevo che non ne sarei uscita illesa ma non immaginavo fino a qual punto! Documentari e cinematografia non avevano mai reso il senso dei fatti come il vedere con occhi e toccare con mano.
Oggi "Patrimonio dell'Umanità, ieri "Museo degli orrori" e basta! Un monito imperituro per le generazioni presenti e future, affinchè questi delitti contro la persona non abbiano a ripetersi!
Per attuare questo progetto è necessario mostrare le prove dell'orrore. La gente dimentica in fretta, non permettiamo che codesti crimini vengano, nuovamente, perpetrati da chi, dibattuto tra follia e ignoranza, volesse ripercorrerne la via.
Per le medesime ragioni, "il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso", aperto al pubblico a Torino, deve essere un monito per le nuove generazioni, che costituiranno la futura classe dirigente , affinchè più non accada che reperti umani, si suppone, di povera gente del sud, persone usate come niente per esperimenti, sia vive che morte, vengano prodotti, al fine di avvalorare aberranti concezioni di "Antropologia Criminale"! Una scienza della quale Egli fu il padre ma senza alcun merito, a causa della sua ideologia discriminante e priva di fondamento scientifico, basata sulla fisiognomica e l'ereditarietà. Essa prevede che un padre, ritenuto un assassino solamente per qualche difformità del volto, generi una prole criminale.
E' necessario che i nostri figli e i nostri nipoti si rendano conto della gravità delle azioni e delle conseguenze causate da quest'essere abietto, criminale egli stesso, non criminologo ! La memoria si conserva e tramanda, soltanto, se supportata da fatti e misfatti. Nessuno potrà mai dire: non sapevo o non so!
Purtroppo, le pratiche orrende, compiute su cavie umane, non terminarono alla sua morte e non resero lodi neppure ad un'altra disciplina: la Psichiatria che, malgrado risalisse ad Ippocrate, nel corso dei secoli, non ebbe un'evoluzione degna, essa si basò su atti criminosi per far fuori chi veniva considerato diverso o scomodo. Bastava un difetto fisico o il soffrire di crisi epilettiche o risultare poco gradito e dannoso ad altri, per essere catalogato fra i malati di mente e sottoposto a torture, persino, un tempo, mandato al rogo. Nella storia degli ospedali psichiatrici è da includere il potere che gli psichiatri avevano di internare le persone, a propria discrezione, tant'è che in centinaia di anni, ne fecero fuori milioni, nel mondo occidentale. Negli anni trenta, periodo di massimo splendore, trasformando innumerevoli pazienti in cavie, la psichiatria inventò e praticò la lobotomia, il coma da shock da insulina e l'elettroshock. Terapie praticate, nonostante gli effetti deleteri, fino alla fine degli anni settanta. (continua)
I MUSEI DEGLI ORRORI (continua)
RispondiEliminawritten by Lidia Peritore
La legge Basaglia nel 1978, attuò la chiusura dei manicomi e regolamentò "il Trattamento sanitario obbligatorio", istituendo "i servizi di igiene mentale".
Che i Manicomi fossero dei luoghi di tortura legalizzata, non c'è dubbio. Il minimo che potesse capitare ai poveri esseri umani, ipotizzati pazzi, era il subire macabri rituali, legati a letti di contenzione o immersi nell'acqua gelata oppure fasciati con bende sature d'urina e tant'altro ancora. I seguaci delle teorie Lombrosiane, sottobanco, continuarono le sperimentazioni su vivi e morti. Il cervello, si riteneva fosse la fonte dei mali e non si curava il lato umano, i sentimenti, le emozioni, forse, costoro pensavano che codeste creature fossero scevre dal provare il dolore che infliggevano agli altri ma si guardavano bene dal provare personalmente. E dal cervello partirono le basi della moderna Psichiatria che attribuisce alla carenza di determinate sostanze chimiche la fonte d'ogni guaio dei malati di mente, esseri umani feriti nell'anima, annientati, spesso, senza alcun ritegno. Ancora oggi nel XXI secolo ci sono professionisti che basano le loro congetture sulla falsa riga del Lombroso e qualche povero diavolo che in quelle maglie s'imbriglia, inconsapevolmente, si sente dire: "Come diceva il mio professore all'università, bisogna essere in grado di fare una diagnosi non appena il paziente appare sull'uscio, soltanto, guardandolo in faccia!" Effettivamente, costui emette un verdetto che risulta essere molto di tendenza, in quel momento, etichettando allo stesso modo chiunque passi dal suo studio!
E non è tutto, alcuni intimidiscono, come un tempo, i sofferenti, fin dal primo colloquio, minacciandoli di richiederne il ricovero coatto e di rinchiuderli in stanze buie, in isolamento, praticando loro terapie farmacologiche delle quali non possono conoscere il nome per evitare la lettura del foglietto illustrativo. Un trattamento molto efficace, affermano, per far sì che i malati guariscano in fretta da certe psicosi. Sembra pura fantasia ma non lo è. Dopo più di trent'anni dall'attuazione della legge 180, ancora, sei Manicomi Criminali rimangono aperti, a testimoniare un'orrenda vergogna che uno Stato democratico non cancella.
E' risaputo che le cose non sono mai cambiate, anche l'induzione di scariche elettriche nei cervelli degli ipotetici pazzi, legalmente vietata, viene praticata sottobanco, un crimine che trasforma le persone, affette da depressione, in vegetali e cadaveri a breve termine.
Se prima della legge Basaglia, gli specialisti in questione avevano potere di vita o di morte sul paziente, adesso, in teoria, egli ha la possibilità di accettare o meno determinati protocolli, essendo tutelato dal consenso informato. In pratica, il cittadino, per carenza d'informazione, sovente, cade nelle mani di qualche pazzo, che si crede scienziato, e paga un prezzo troppo alto per una fiducia mal riposta. Difendiamoci da questi folli persecutori, affetti da delirio d'onnipotenza, che degli umani pietà non hanno, operiamo scelte oculate e sensate, inculchiamo sani principi ai nostri figli e poi, incrociamo le dita e, auguriamoci:"buona fortuna"!
@LidiaPeritore@