Sogno e leggenda di una sirena
Camminava lungo il litorale spazzato dal vento cercando di schivare i suoi capelli che continuavano a svolazzarle negli occhi e sulle labbra. Si sentiva il freddo dell'inverno e l'aria di tempesta aveva messo in fuga tutti verso le loro tane coperte e riscaldate, ma non lei: lei invece era proprio da quello che scappava!
Fiera di offrire al picchiettare delle goccioline salate il collo nudo, le narici gelide e le orecchie dolenti, come un animale vagabondo, ma libero e senza paura, lasciando aperto il soprabito, incurante dell'aria umida che s'andava infilando sotto i vestiti. Non sembrava avvertire i brividi della pelle ed i sussulti improvvisi, ma respirava, estranea a se stessa e tesa nella curiosità di scoprirsi, come un bimbo che gioca per la prima volta nella neve.
Nessuno nasce schiavo ... o forse si, forse ciascuno trascorre la vita a tessere una tela di cui si circonda per non poter più fuggire e neanche lei poteva: non per sempre, non domani, domani non avrebbe potuto, ma forse solo ora, immersa in un presente esteso fino alla linea dell'orizzonte, come l'acqua del mare in tempesta, grigia e disseminata di strisce di schiuma a disegnare qualcosa come una invitante inquietudine, non realmente una minaccia.
Non le faceva paura: nulla poteva farle paura, non sorrise, non pianse, svuotò la mente, attratta in un rapimento surreale, poi si guardò camminare fino a sentire i piedi bagnati ed imbrattati della sabbia fangosa. Si mise a cantare un'antica nenia, immaginò che il vento ne trascinasse l'eco sulle onde finché ne rinascessero sirene, creature che spaziano libere e smarrite in fondo ad ogni coscienza ed affiorano di tanto in tanto alla superficie di arcaiche fantasie.
Era una ninna nanna che culla ed accompagna al sonno sicuro l'anima che vi si affida.
E cantò gorgogliando col mare, senza aspettare il sereno e senza voltarsi indietro.
Fiera di offrire al picchiettare delle goccioline salate il collo nudo, le narici gelide e le orecchie dolenti, come un animale vagabondo, ma libero e senza paura, lasciando aperto il soprabito, incurante dell'aria umida che s'andava infilando sotto i vestiti. Non sembrava avvertire i brividi della pelle ed i sussulti improvvisi, ma respirava, estranea a se stessa e tesa nella curiosità di scoprirsi, come un bimbo che gioca per la prima volta nella neve.
Nessuno nasce schiavo ... o forse si, forse ciascuno trascorre la vita a tessere una tela di cui si circonda per non poter più fuggire e neanche lei poteva: non per sempre, non domani, domani non avrebbe potuto, ma forse solo ora, immersa in un presente esteso fino alla linea dell'orizzonte, come l'acqua del mare in tempesta, grigia e disseminata di strisce di schiuma a disegnare qualcosa come una invitante inquietudine, non realmente una minaccia.
Non le faceva paura: nulla poteva farle paura, non sorrise, non pianse, svuotò la mente, attratta in un rapimento surreale, poi si guardò camminare fino a sentire i piedi bagnati ed imbrattati della sabbia fangosa. Si mise a cantare un'antica nenia, immaginò che il vento ne trascinasse l'eco sulle onde finché ne rinascessero sirene, creature che spaziano libere e smarrite in fondo ad ogni coscienza ed affiorano di tanto in tanto alla superficie di arcaiche fantasie.
Era una ninna nanna che culla ed accompagna al sonno sicuro l'anima che vi si affida.
E cantò gorgogliando col mare, senza aspettare il sereno e senza voltarsi indietro.
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