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Profughi: redistribuzione europea e rimpatri

Si è parlato molto in questi giorni dell'accordo raggiunto in sede europea per la ricollocazione dei rifugiati approdati sul suolo italiano: la decisione è stata presa a Bruxelles il 22 settembre, sono 120.000 i migranti tra quelli giunti in Italia negli ultimi due anni, che saranno redistribuiti in altri paesi della UE. L'accordo europeo prevede anche i rimpatri per coloro che non saranno riconosciuti come rifugiati, ma classificati come "migranti economici".
Al riguardo il Ministero degli Interni ha espresso piena soddisfazione: finalmente l'Europa "ha capito" si dice, dopo aver sottovalutato la problematica per anni, scrollandola tutta e per intero sui paesi di frontiera affacciati sul Mediterraneo, l'Italia e la Grecia in sostanza.

Qualunque cosa se ne dica è la pressione dell'ondata dei migranti sulle frontiere dei paesi dell'Europa dell'est, l'imprevisto che ha indotto i governi a rivedere le proprie posizioni ed a cambiare le carte in tavola: restano tuttavia nodi importanti da sciogliere.
Il primo: riuscire a far passare la regola delle quote obbligatorie per l'accoglienza degli immigrati in tutti i paesi europei e soprattutto proprio nei paesi dell'Europa dell'est, l'Ungheria intanto continua ad erigere barriere in filo spinato; il secondo problema è definire con chiarezza i criteri di selezione dei profughi per il riconoscimento dello status di rifugiato: argomento che potrebbe essere meno lineare di quanto appaia e generare numerose controversie.

Se un territorio è diventato invivibile per cause ambientali e climatiche, le popolazioni che si spostano sono da considerarsi rifugiati? O sono tali solo coloro che scappano dalle guerre?
Lo status di rifugiato, così come è definito nella Convenzione di Ginevra del 1951 riguarda la persona che:

 temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova al di fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese, ovvero che, non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori dal Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”

Dunque il riconoscimento implica l'idea di persecuzione: considerata la condizione di discriminazione sociale ed asservimento del sesso femminile in molti paesi in via di sviluppo, lo status dovrebbe essere riconosciuto a tutte le donne (per tacere degli omosessuali) che ne facciano richiesta, ad esempio ed indipendentemente dal fatto che provengano o meno da zone di guerra, tanto per cominciare...
Che dire poi delle guerre combattute non con le armi, ma col denaro e che hanno privato i residenti di alcuni paesi delle terre coltivabili e delle risorse idriche?
Questa cosa che ha fino ad oggi ha affamato intere popolazioni può essere considerata una persecuzione contro persone appartenenti ad un gruppo sociale (quello dei poveri) operato dalle ricche multinazionali?

La discrezionalità del giudizio è affidata ad una Commissione Territoriale e ad un Giudice Ordinario e pertanto soggetta anche ad  eventuale ricorso avverso alla sentenza.
Un approfondimento della normativa in materia è contenuto nella scheda ASGI ma quello che è chiaro è che,il contrariamente a quanto si asserisce in giro, la definizione dello status di rifugiato e l'accesso al diritto di protezione internazionale, non è qualcosa di così lineare ed inequivocabile come si vorrebbe far credere...

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