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Il bambino e la stella

Tanto tempo fa in un paese dal nome strano viveva un bambino, che era un bambino, cioè non era uno grande, ma, per dire la verità, non era neanche poi tanto piccolo: ce n'erano di più piccini di lui e lui non aveva più voglia di giocare con loro. Questo bambino si era stufato di essere piccolo e voleva fare le cose che fanno i grandi, quelli alti abbastanza e con le mani ruvide e nodose, ma i grandi invece non lo volevano con loro, perciò il bambino era molto arrabbiato. Il fatto è che i più piccini gli volevano bene e lo ammiravano: lui era più forte e sapeva fare cose anche difficili, perciò spesso gli si mettevano intorno per chiedergli qualcosa, per farsi aiutare o spiegare ed anche per chiacchierare e stare ad ascoltarlo. Tommasino però (questo era il nome del bimbo) aveva cominciato già da qualche tempo a fare il burbero ed a mandarli via, fino a quando i piccoli, assai mortificati, cominciarono a temere di avvicinarlo: qualcuno si era già beccato qualche ceffone e perfino un paio di calci. Tommasino era molto orgoglioso: aveva provato ad intervenire qualche volta nei discorsi dei grandi, ma quelli per lo più facevano finta di non averlo sentito e se per caso poi lui si metteva a strillare per essere ascoltato, quelli lo guardavano con ironia come un bimbo piccolo, capriccioso e fastidioso e lo apostrofavano mandandolo a fare i capricci dalla sua mammina.

Fu così che Tommasino si convinse che nessuno gli voleva bene e per questo rimase da solo in compagnia della sua rabbia. Con quella rabbia lui ci parlava e ci ragionava proprio come se fosse una sua compagna, ma la rabbia, si sa, è cattiva per sua propria indole e perciò cercava di ferirlo in tutti i modi. Per esempio lui domandava: "Perché non mi ascoltano?" e la rabbia rispondeva: "Perché sono cattivi ed anche invidiosi: tu sei più bravo di loro. Hai sentito che idiozie diceva quello spilungone? Così grande e grosso e non ha ancora capito niente! Tu sei più capace, ma quelli grandi non vogliono ammetterlo, perché gli stai antipatico." Tommasino, fidandosi ingenuamente della lusinga, ci pensava un poco e poi: "Possibile che sono antipatico a tutti? Cosa ho che non va bene?" e pronta la rabbia ribatteva: "Ma loro sono cattivi". Tommasino arrivò al punto da non capirci più niente, però la sua rabbia, nutrita da questi frequenti dialoghi, cresceva ed occupava sempre più spazio nel suo animo. Fu così che in fondo in fondo alla sua mente si andò dilatando anche l'ombra della sua rabbia: era scura e brutta e perciò bisognava nasconderla nel buio, perché nel buio non si possono vedere le ombre e però l'ombra continuava ad esserci e ad allungarsi al buio dove nessuno poteva accorgersi di lei. Tommasino poteva vedere la sua rabbia, poteva ragionarci ed immaginare di tenerla a bada, ma non riusciva a scorgere l'ombra, che invece cresceva completamente al di fuori del suo controllo.

Voi ora sarete curiosi di sapere come è fatta l'ombra della rabbia: la rabbia non ha proprio un suo corpo, per questo la sua ombra è informe e vorace, capace di inghiottire un bambino, anche grandicello, risucchiandolo tutto intero fino a farlo scomparire. Una cosa veramente spaventosa, che alcuni hanno battezzato col nome di paura. Quell'ombra malefica, allungandosi sempre più, gli aveva creato intorno un alone scuro che lo circondava quasi completamente e per lo più Tommasino era costretto a guardare il mondo attraverso quell'alone. L'alone funzionava come una materia sottile, un pulviscolo di specchi e lenti deformanti, capaci di mettere a fuoco ed ingrandire solo le cose brutte: insomma tutto quello che il bambino riusciva a vedere lo faceva diventare sempre più arrabbiato. Era avanzato, tuttavia, un piccolo canale davvero angusto e difficile da raggiungere con lo sguardo, a meno di non trovarsi in una posizione del tutto insolita e sbirciare con la coda dell'occhio proprio in quel sentiero non ancora invaso dal pulviscolo dell'ombra.

Era davvero improbabile che Tommasino riuscisse ad accorgersi di questo piccolo particolare, anche perché si era ormai allontanato da tutti e quindi nessuno avrebbe potuto aiutarlo. Il povero bambino cominciò a rimanere sveglio di notte: il pulviscolo di lenti e specchi è pungente come le piccole schegge di vetro e quelle punture continue lo tormentavano e lo tenevano sveglio fino a notte inoltrata. Accadde appunto di notte che Tommasino  tutto solo nel silenzio della sua casa, esasperato dal suo letto di spine, decise di darsi alla fuga, almeno per qualche ora: indossò le scarpe e la giacca e si avventurò da solo sulla stradina che attraverso la campagna conduceva alla spiaggia. Nessuno se ne sarebbe accorto: in casa dormivano tutti. Camminò di buon passo e camminando riusciva a scuotersi via dalla pelle la polvere e le schegge: l'ombra faceva fatica a stargli dietro ed un po' di quella sabbiolina mefitica finiva per sedimentare nelle orme dei suoi scarponcini, non ancora grandi, ma neanche tanto piccoli, non proprio come quelli dei piccini. Fatto sta che, giunto sulla spiaggia, Tommasino si sentì stanco e si mise mezzo disteso tra un sasso e la rena, dove si appisolò. 

Prima di chiudere gli occhi intravide sopra di lui la volta limpida del cielo notturno: c'erano miriadi di stelle di ogni grandezza e luminosità, ma Tommasino era arrabbiato anche con loro ed un attimo prima che il sonno si impadronisse di lui, cominciò a sospettare che fossero proprio loro le responsabili di quelle fastidiose punture notturne. Quando si dice: una cattiva stella! 

Fu svegliato all'improvviso da una luce: lui trasalì, credeva fosse mattina, ma invece il cielo era ancora nero e puntinato d'argento. La luce che l'aveva svegliato però era vivida e limpida, del tutto diversa dalle altre: il fascio gorgogliava come acqua di sorgente, penetrando a fiotti attraverso quel canaletto angusto non ancora sigillato dalla paurosa ombra informe che lo circondava. Tommasino, che ormai si era abituato a non aspettarsi mai nulla di buono da nessuno, si impressionò: "Che succede? Chi sei?" urlò con quanto fiato aveva in gola, mentre la potenza dei fiotti di luce andava allargando il canaletto libero. "Lo sapevi che ogni bambino ha una piccola stella per amica?" si sentì rispondere da una voce cristallina e ridente. "Io non sono un bambino!" esclamò piccato Tommasino "sono grande ed anche cattivo!". Seguì un breve silenzio e quindi: "Vuoi dire forte Tommasino? Mica bisogna essere cattivi per diventare forti... quelli forti non hanno paura e perciò non hanno bisogno di essere cattivi.". Eccone una che sembrava saperne più di lui... indispettito, ma soprattutto incuriosito, Tommasino con l'incoscienza tipica dei bambini e delle persone molto giovani, infilò la testa nel varco inondato di luce: "Insomma tu saresti la mia stella amica?". "Lo sono!". "Come ti chiami?". La stella gli sussurrò uno di quei nomi esotici e complicati, che solo le stelle possono possedere e rideva, rideva, ma intanto il bambino aveva tirato fuori la testa da quell'aura spaventosa che lo accompagnava e così vide uno spettacolo bellissimo: la luna tramontava sul mare, una meraviglia da mozzare il fiato. 

La bellezza, come è risaputo, riempie di gioia e solo questo fece tacere il discolo, che già stava per accusare quella stella di star ridendo di lui! Riuscì a sussurrare soltanto: "Uno splendore qui fuori". "Puoi conservare questo miracolo anche dentro" gli rispose seria e dolce la sua stella: ora non dava più l'impressione di volerlo canzonare e Tommasino dopo tanto tempo desiderò intensamente di abbracciarla, così tirò fuori il busto e poi le gambe per inseguire il raggio di luce, che sembrava ora voler giocare con lui. Alle sue spalle sentì lo scroscio atono del pulviscolo spinoso che scivolava a terra, mescolandosi con la rena e si accorse che ormai stava per sorgere il sole: era ora di tornare a casa. "Quando ti rivedo?" chiese supplichevole alla stellina che si andava dileguando. "Anche questa sera" sentì il filo di voce appena come un sibilo sommesso nell'orecchio. Corse a casa e si infilò nel letto, già pronto per il risveglio della famiglia. 

Quel giorno tutto finì o meglio cominciò un'altra storia, che però racconteremo un'altra volta. Per oggi voglio ricordare soltanto che dentro ciascuno di noi vivono e lottano tra loro l'ombra e la luce, ma noi decidiamo chi delle due nutrire con il tempo dipanato sul filo dei nostri pensieri e lo spazio dedicatovi nella nostra mente: delle due sarà più forte e vincerà quella che abbiamo nutrito con maggiore cura, passione e costanza.

Commenti

  1. E' un racconto bellissimo e la morale è grande nella sua intelligenza:

    "Mica bisogna essere cattivi per diventare forti... quelli forti non hanno paura e perciò non hanno bisogno di essere cattivi".


    La Bellezza salverà il mondo e Fiodor Dostoevskij ci dice come.

    Nel romanzo I fratelli Karamazov approfondisce il problema. Un ateo, Ipolit, domanda al principe Mynski “in che modo la bellezza salverebbe il mondo”? Il principe non dice nulla ma va da un giovane di diciott’anni che sta agonizzando. Lì rimane pieno di compassione e amore finché quello muore. Con questo voleva dire: è la bellezza che ci porta all’amore condiviso con il dolore; il mondo sarà salvo oggi e sempre fin quando ci sarà questo gesto. E come ci manca, oggi!

    https://leonardoboff.wordpress.com/2014/05/01/la-bellezza-salvera-il-mondo-dostoevskij-ci-dice-come/


    Ciao Sfinge.

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    1. Grazie di cuore Gus per la tua riflessione. Anch'io adoravo Dostoevskij nella mia adolescenza e prima giovinezza: di una profondità tanto spietata quanto intensamente umana. Un grande Beato lui!).
      A te buona serata.

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  2. Cara Sfinge, certo che questo è un post molto bello,
    si parla sempre di poesia che è l'anima della vita. Complimenti.
    Ciao e buona giornata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso

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  3. Un racconto davvero toccante, andrebbe raccontato nelle scuole, là dove stanno crescendo ragazzini che per essere “più” forti rasentano il bullismo o già lo sono. Un racconto che insegna, grazie per averlo postato, è una storia da conservare. Buona giornata.
    sinforosa

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    Risposte
    1. Grazie per il tuo apprezzamento Sinforosa. Buona giornata anche a te!

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  4. Un racconto ricco d'insegnamenti.
    Saluti a presto.

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