Sindrome di Down: quale futuro?
L'angoscia di ogni genitore che abbia un figlio con la sindrome di Down è il pensiero del futuro: cosa farà e come sarà da grande, cosa ne sarà di lui/lei quando il naturale ciclo della vita gli porterà via il padre e la madre? La preoccupazione del domani è il tormento che accompagna giorno dopo giorno tutti i genitori di bambini con una disabilità che ne compromette l'autonomia e quindi la capacità di inserirsi nella società e conquistare la propria indipendenza personale ed economica.
Chi amerà questa persona, chi se ne prenderà cura, chi la proteggerà? Oggi il carico della disabilità ricade in grande misura sui nuclei familiari di appartenenza: la condivisione sociale della responsabilità di gestire una persona con sindrome di Down è limitata essenzialmente alla erogazione di alcuni contributi economici ed alla disponibilità di Centri di Riabilitazione a fornire trattamenti di tipo semi-residenziale, che in effetti dopo una certa età, non rivestono più un carattere propriamente riabilitativo, ma piuttosto in parte assistenziale ed in parte socio-educativo. Infatti le persone che non hanno sviluppato una autonomia sufficiente a gestire in maniera indipendente una propria rete di rapporti sociali e/o la capacità di difendersi nella giungla delle relazioni umane, non per questo meritano di essere condannati all'isolamento a vita: evidentemente hanno bisogno di contesti protetti per coltivare rapporti umani ed affettivi ed essere stimolati nei loro interessi verso l'ambiente circostante, svolgendo attività formative e gratificanti.
Oggi, nella giornata nazionale delle persone con sindrome di Down proviamo ad affrontare anche il pregiudizio, che insieme alla disabilità per se stessa, finisce per escludere e ghettizzare queste persone. La prima cosa che c'è da sapere per tutti quelli che non hanno cognizione di cosa sia effettivamente la sindrome, è che i Down non sono tutti uguali: benché si somiglino tutti per i tratti somatici (quella che in medicina viene definita la facies tipica) possono essere persone anche molto diverse fra loro. La sindrome implica uno sviluppo intellettivo che si attesta in fascia deficitaria, abitualmente un ritardo di medio grado, ma non tutti i Down presentano il medesimo livello di sviluppo cognitivo: alcuni presentano ritardi gravi, altri possono invece svilupparsi fino alla fascia di lieve ritardo, il che fa molta differenza. La sindrome comporta una statura mediamente più bassa rispetto a quella dei fratelli, ma non tutti i Down hanno la stessa altezza: questo dipende anche dall'insieme del patrimonio genetico (la statura dei fratelli). La sindrome può manifestarsi anche con diversi tipi di malformazioni, più frequentemente cardiache (circa la metà dei casi) ma non tutti i Down soffrono di una cardiopatia congenita o altro tipo di patologia malformativa. Si potrebbe continuare, ma per dirla in breve: il fatto è che una persona Down è appunto una persona, della quale sappiamo poco se non la conosciamo individualmente.
La sindrome di Down è la più frequente anomalia cromosomica riscontrabile alla nascita e si stima che interessi circa un neonato su 1.200 benché la frequenza risulti in diminuzione grazie alla diagnosi prenatale: nella stragrande maggioranza dei casi è legata ad una trisomia 21 libera: le persone con sindrome di Down in Italia sono oggi circa 38.000 di cui oltre la metà (il 61% hanno più di 25 anni): il problema del futuro esiste, i genitori non vivono in eterno. Una buona parte di queste persone potrebbero, qualora esistessero strutture idonee come comunità alloggio seguite da tutor, svincolarsi dalla famiglia di origine, come chiunque altro. Molte di queste persone, se guidate ed addestrate, sarebbero in grado di inserirsi nel mondo del lavoro, come è dimostrato dalle diverse strutture di ristorazione e laboratori di vario tipo presenti in Italia e gestiti direttamente da persone Down: è vero l'investimento sociale in questo settore avrebbe dei costi, ma tutti gli interventi a favore della disabilità hanno dei costi ed il coinvolgimento sociale è di certo meno ghettizzante di quanto lo sia quello esclusivamente sanitario. Le famiglie hanno il diritto di essere liberate dall'angoscia del futuro e le persone Down hanno il diritto di vivere la propria vita.
Chi amerà questa persona, chi se ne prenderà cura, chi la proteggerà? Oggi il carico della disabilità ricade in grande misura sui nuclei familiari di appartenenza: la condivisione sociale della responsabilità di gestire una persona con sindrome di Down è limitata essenzialmente alla erogazione di alcuni contributi economici ed alla disponibilità di Centri di Riabilitazione a fornire trattamenti di tipo semi-residenziale, che in effetti dopo una certa età, non rivestono più un carattere propriamente riabilitativo, ma piuttosto in parte assistenziale ed in parte socio-educativo. Infatti le persone che non hanno sviluppato una autonomia sufficiente a gestire in maniera indipendente una propria rete di rapporti sociali e/o la capacità di difendersi nella giungla delle relazioni umane, non per questo meritano di essere condannati all'isolamento a vita: evidentemente hanno bisogno di contesti protetti per coltivare rapporti umani ed affettivi ed essere stimolati nei loro interessi verso l'ambiente circostante, svolgendo attività formative e gratificanti.
Oggi, nella giornata nazionale delle persone con sindrome di Down proviamo ad affrontare anche il pregiudizio, che insieme alla disabilità per se stessa, finisce per escludere e ghettizzare queste persone. La prima cosa che c'è da sapere per tutti quelli che non hanno cognizione di cosa sia effettivamente la sindrome, è che i Down non sono tutti uguali: benché si somiglino tutti per i tratti somatici (quella che in medicina viene definita la facies tipica) possono essere persone anche molto diverse fra loro. La sindrome implica uno sviluppo intellettivo che si attesta in fascia deficitaria, abitualmente un ritardo di medio grado, ma non tutti i Down presentano il medesimo livello di sviluppo cognitivo: alcuni presentano ritardi gravi, altri possono invece svilupparsi fino alla fascia di lieve ritardo, il che fa molta differenza. La sindrome comporta una statura mediamente più bassa rispetto a quella dei fratelli, ma non tutti i Down hanno la stessa altezza: questo dipende anche dall'insieme del patrimonio genetico (la statura dei fratelli). La sindrome può manifestarsi anche con diversi tipi di malformazioni, più frequentemente cardiache (circa la metà dei casi) ma non tutti i Down soffrono di una cardiopatia congenita o altro tipo di patologia malformativa. Si potrebbe continuare, ma per dirla in breve: il fatto è che una persona Down è appunto una persona, della quale sappiamo poco se non la conosciamo individualmente.
La sindrome di Down è la più frequente anomalia cromosomica riscontrabile alla nascita e si stima che interessi circa un neonato su 1.200 benché la frequenza risulti in diminuzione grazie alla diagnosi prenatale: nella stragrande maggioranza dei casi è legata ad una trisomia 21 libera: le persone con sindrome di Down in Italia sono oggi circa 38.000 di cui oltre la metà (il 61% hanno più di 25 anni): il problema del futuro esiste, i genitori non vivono in eterno. Una buona parte di queste persone potrebbero, qualora esistessero strutture idonee come comunità alloggio seguite da tutor, svincolarsi dalla famiglia di origine, come chiunque altro. Molte di queste persone, se guidate ed addestrate, sarebbero in grado di inserirsi nel mondo del lavoro, come è dimostrato dalle diverse strutture di ristorazione e laboratori di vario tipo presenti in Italia e gestiti direttamente da persone Down: è vero l'investimento sociale in questo settore avrebbe dei costi, ma tutti gli interventi a favore della disabilità hanno dei costi ed il coinvolgimento sociale è di certo meno ghettizzante di quanto lo sia quello esclusivamente sanitario. Le famiglie hanno il diritto di essere liberate dall'angoscia del futuro e le persone Down hanno il diritto di vivere la propria vita.
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