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Piume di pensiero mi volteggiano intorno: finiranno per farmi starnutire



La termodinamica si occupa di energia e, tra l’altro, postula  che ogni trasformazione di energia comporti un aumento dell’entropia. Ora l’entropia è una forma degradata ed inutilizzabile di energia, ovvero quella quota non più convertibile in lavoro, cioè la confusione, o anche il ciarpame che ad ogni riordinata di ripostiglio buttiamo via. Mantenere un elevato livello di organizzazione, come nel nostro organismo biologico, richiede dunque un considerevole consumo di energia proveniente dall’esterno (gli alimenti): cosa richiederà mantenere un elevato livello di organizzazione nel nostro organismo psicologico? Quali sono gli alimenti giusti e dove si acquistano, se non al supermercato? E’ chiaro, a questo punto, che non siamo autosufficienti, ma abbiamo bisogno di attingere risorse dall’esterno per evitare la confusione ed il deterioramento che sarebbero i prodotti di scarto di ogni operazione mentale e che quindi tenderebbero ad accumularsi con  il susseguirsi di tali operazioni.

La risposta, viene da pensare, era quella dell’accogliente grembo materno, quando fusi e confusi nella mente e nel corpo, nel soma e nella psiche, succhiavamo col latte il nutrimento, l’amore ed, in una parola, la vita stessa. Dunque ciò che nutre la nostra mente è l’amore! Vi sembra melenso e banale? Beh! “se ci è consentito sollevare i nostri umili personaggi con qualche illustre paragone” (vado bene a memoria con la citazione manzoniana?) anche R. Laing era arrivato alla stessa confusione … pardon volevo dire conclusione! E mi sembra che abbia scritto parecchio di più per arrivarci.      Ecco spiegate tante obesità: anche loro avranno scambiato la confusione per la conclusione!  (tenete alla larga gli psichiatri, per carità: quelli se vedono giochi di parole ed associazioni per assonanza, partono con le loro prevedibili associazioni e quindi le loro prevedibili conclusioni!)

Sempre senza scoraggiarci procederemo alla sistematica disanima di ciò che veniamo tirando fuori dal nostro ripostiglio … o preferite che sia un solaio? Sapete il solaio è più grande, ha le finestre e si possono guardare anche le stelle di tanto in tanto per riposarsi. Attenti però, si rischia di passarci la vita, isolandosi nella propria interiorità e la cosa non potrebbe andare bene, perché, come abbiamo appena “scoperto”, non siamo autosufficienti: abbiamo bisogno di nutrirci e poi …. non credete che sarebbe ancora una volta un modo per raggirare noi stessi, chiudendoci a ciò che  ci può far paura nel mondo esterno? Fuori da noi  le cose  sono non sempre e/o  non del tutto controllabili e quindi potenzialmente pericolose. La solita scusa per distoglierci da qualcosa che vogliamo evitare?
E’ certo che di tutto si può dire di tutto (ci avevate già fatto caso?), ma sarà comunque meglio non esagerare in nessuna cosa. La natura ci insegna che nessun oggetto è buono o cattivo per sé stesso, ma può diventare l’una o l’altra cosa secondo l’uso che se ne fa: ciò è tutto quanto c’è da dire sull’acqua, sul fuoco, sugli animali (genere che ci include più di quanto vorremmo illuderci) e sulla vita stessa.
Esiste, ne sono convinta, la sindrome del bimbo solo nel deserto: tendono ad essere agitate queste persone. L’isolamento (o abbandono affettivo) troppo assoluto e/o prolungato è una dimensione surreale che fa paura, ci manda in ansia nel migliore dei casi, quando non fa scattare meccanismi di negazione che attivano ed oggettivano i nostri fantasmi (“ non sono solo: stanno parlando proprio di me alla TV, mi controllano … quelli mi guardano, ridono di me, etc …”). Mai capitato di cascarci? Eh lo so, la  gente come voi soffre più spesso della sindrome della sardina in scatola: troppe cose troppi impegni, sempre qualcun altro a cui pensare e voi ricacciati nell’angolino più stretto e puzzolente, macché squilla di tutto, telefono, citofono ed altro anche se siete sotto la doccia: vi marcano stretti, eh? Anche voi tenderete ad essere agitati nel tentativo di liberarvi, a meno che non decidiate di murarvi nel vostro minuscolo cantuccio dove già respirate a fatica, perché se manca lo spazio per respirare si muore di asfissia, non è così?
Non so se sia più difficile ritrovare un piccolo bambino smarrito in un immenso deserto o sfondare questa estrema fortificazione, ultimo baluardo di difesa contro gli invasori: massiccia, rigida e totalizzante, come è necessario in situazioni di imminente e grave pericolo. Non troppo, da perdervici, né troppo poco da rischiare l’asfissia: questa è l’esatta estensione dello spazio personale, ovvero da dedicare a sé stessi e, come molte altre cose di noi, la misura compatibile con un buono stato di salute è compresa entro un “range” ovvero limiti massimo e minimo. Al di sotto ed al di sopra dei livelli di guardia  corriamo dei rischi. Tutti possono diventare matti, così come tutti possono avere una crisi epilettica: è questione di soglia di tolleranza.

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