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La regina dei demoni: l’invidia


               
Questo sentimento è conosciuto bene ed a fondo fin dalle origini della umanità: elencato tra i vizi capitali nella dottrina religiosa del cattolicesimo, analizzato nella sua genesi e nel suo sviluppo da M. Klein nel geniale “invidia e gratitudine”, maledetto da quanti se ne sentono perseguitati, esorcizzato da maghi e chiromanti nelle loro pratiche esoteriche, l’invidia ha radici salde e profonde, né c’è modo di estirparla dall’animo umano.
Cos’è dunque l’invidia? Nel linguaggio comune non sempre è chiaro il significato di questa particolare parola, si può intendere infatti anche il semplice desiderare qualcosa che qualcun altro possiede ed a noi manca: questa condizione, tuttavia, in realtà non corrisponde esattamente alla definizione di “invidia”, ma potrebbe più propriamente essere chiamata “competizione” od “emulazione”.
 La competizione e l’emulazione possono essere considerati sentimenti sostanzialmente positivi, quando rappresentano uno stimolo utile e costruttivo per una data persona e la spingono a migliorarsi, assumendo come modello reale qualcun altro considerato migliore per determinate qualità o capacità specifiche. È possibile essere competitivi stimando e rispettando la persona con cui si compete; il concetto di emulazione poi, presuppone addirittura una certa ammirazione e l’assunzione dell’altro come modello ed ideale da raggiungere: no, questo non è ciò che normalmente intendiamo per invidia in quanto implica sentimenti positivi ed agiti costruttivi.

Al contrario l’invidia è velenosa e distruttiva: la persona invidiosa soffre per la mancanza di ciò che un altro possiede, ma evidentemente non si stima abbastanza per considerarsi in grado di conquistarsi quella tale cosa e quindi non gli resta che cercare in tutti i modi di privare l’altro di ciò che ha, sopraffacendolo e cacciandolo in una posizione di inferiorità! Questo resta l’unico strumento utile a soddisfare quella comune istanza narcisistica che induce ogni persona  a volersi sentire pari o migliore degli altri.
La persona invidiosa non riesce ad apprezzare l’aiuto che le può essere offerto, ma soffre per la posizione di dipendenza ed inferiorità in cui si sente se viene aiutata ...
La persona invidiosa è tale per sua struttura di carattere ed è una continua fonte di malessere per sé stessa e per chi le è vicino.
Se nella umanità prevalesse l’invidia, ogni talento ed ogni genio verrebbero perseguitati (il che bisogna ammettere che è accaduto spesso nella storia).

Sotto il profilo delle relazioni sociali, l’invidia può essere molto pericolosa perché induce a nuocere in tutti i modi alle persone. Nella interiorità della persona invidiosa la soddisfazione ottenuta dall’essere riusciti a fare del male od a privare qualcuno di qualcosa è molto effimera: la mancanza primaria (l’incolmabile vuoto d’amore) torna presto a farsi risentire e c’è bisogno di “colpire ancora”.
Infine, come in molte cose di questo mondo, è anche o forse soprattutto una questione di misura: a guardarsi dentro, forse nessuno potrebbe sinceramente affermare di non avere mai provato neanche una piccola punta di invidia nella sua vita: ma, si sa, un pizzico di pepe esalta il gusto della minestra, un pizzico di troppo la rende disgustosa, così è anche per gli aspetti e le sfumature un po’ perverse delle relazioni umane.

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