Il potere e l'autorità: stato e religioni
Questo particolare momento nella storia della nostra repubblica democratica suggerisce di riflettere su di un paio di impliciti, che rappresentano il fondamento di ogni tipo di organizzazione sociale: la “forza” e l’ “autorità”.
Entrambi i concetti nell’immaginario collettivo si strutturano durante la crescita individuale di ciascuno, modellandosi sulle caratteristiche delle figure parentali ed in modo specifico della figura paterna.
Tanto la forza che l’autorità sono attributi primariamente simbolizzati nelle divinità di tutte le religioni ed in qualsiasi civiltà.
In quest’ambito possiamo distinguere essenzialmente di due filoni ideologici e/o modalità relazionali:
- L’AUTORITA’ PROTETTIVA, il dio che perdona ed aiuta, al quale si rivolgono preghiere per essere sostenuti nei propri bisogni, desideri e timori.
- L’AUTORITA’ PERSECUTORIA, il dio che si adira e punisce, divinità da temere e placare con sacrifici e cerimoniali vari.
È chiaro che la divinità persecutoria agisce con la sopraffazione in uno scontro diretto con la persona umana, di cui risulterà, per la sua natura divina, inevitabilmente più forte.
La divinità protettiva, all’inverso, conquista attraverso l’amore e la persuasione.
Ora la divinità come tale è la personificazione fantastica dell’autorità e non a caso nelle civiltà primitive spesso lo stesso “stregone” era anche capotribù.
L’autorità viene normalmente percepita come forte, dato che verosimilmente è riuscita ad affermarsi appunto attraverso tale forza: ora bisogna capire quanta forza.
Per capire di quanta e quale forza stiamo parlando dobbiamo porci un domanda, anzi due:
Quanta forza è necessaria per sopraffare, ad esempio, un bimbo di tre anni? Tutti saremo concordi nel riconoscere che per questo può essere sufficiente la forza posseduta da un bambino di cinque o sei anni.
Quanta forza è necessaria per proteggere lo stesso bambino di tre anni? Anche qui molti concorderanno che almeno ventidue o ventitre anni ci vogliono, forse trenta è ancor meglio!
Questo dovrebbe essere sufficiente a comprendere, almeno intuitivamente, che la persecutorietà è legata alla poca forza, o debolezza che dir si voglia. Tale debolezza può di fatto rappresentare una condizione oggettiva (es.: esco la sera col cane da guardia perché non riuscirei da sola ad affrontare un eventuale aggressore) , un vissuto soggettivo (es.: rifiuto di parlare alla gente perché ho paura di tutti) o entrambi .
Per spiegarmi in forma chiara e sintetica, dirò che la mia percezione di pericolosità di quanto mi circonda sarà tanto più intensa quanto meno io mi sento capace di affrontare i potenziali pericoli, secondo un rapporto, potremmo dire, di proporzionalità inversa.
Chi si sente vulnerabile, ovviamente ha paura ed alcune delle scorciatoie più semplici per tentare di venirne fuori saranno prima di tutto di convogliare l’aggressività dei potenziali nemici verso qualcuno diverso da sé stesso, accusando tutto e tutti e presentandosi come un titano combattente (“molti nemici: molto onore”) e poi, in secondo luogo, di trincerarsi, utilizzando ogni mezzo, più o meno lecito per tutelarsi (“in guerra ed in amore tutto è permesso” ed i persecutori sono costantemente in guerra).
Queste due elementari difese spiegano la xenofobia con la volontà di coinvolgere i cittadini in attività di “ordine pubblico” (?) e lo stravolgimento dei poteri di indagine della magistratura.
A questo punto è abbastanza chiaro che le istituzioni governative hanno assunto una posizione persecutoria e stanno utilizzando le relative modalità difensive rispetto al paese: ora la domanda è dove questa condizione può condurre questa nazione, perché, vedete, la persecutorietà è, per sua natura, pericolosamente distruttiva …..
La forza sia con voi …
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