La violenza e l'indifferenza
Napoli, la città degli amici, dove la gente si dice sia sempre espansiva aperta e disponibile: storicamente è così perché è una città meridionale, dove fa caldo e tradizionalmente si vive per strada ed all’aperto, piuttosto che chiusi in case riscaldate, come al nord.
Per strada la gente si incontra, si conosce, si chiacchiera: si socializza facilmente, si trova disponibilità verso gli altri per scambiare pettegolezzi od opinioni, se necessario magari dare qualche piccolo aiuto o indicazione.
In alcune metropoli del nord Europa uno potrebbe andare in giro vestito di piume senza essere degnato da uno sguardo dai passanti, vomitare sui marciapiedi senza essere avvicinato da nessuno, ma a Napoli no, almeno non era mai prima stato così.
La città è grande, ma ogni piazza, ogni vicolo, ogni quartiere contiene la sua piccola comunità, ci si conosce, ci si aiuta reciprocamente, perché a tutti può capitare di avere bisogno di una mano: il principio della solidarietà è questo, cioè legato alla immedesimazione.
Se c’è l’usanza di aiutarsi, ciascuno ci può contare e, come recita un motto di antica saggezza popolare “’a Reggina avett’ abbisogn da vicina”.
Questa saggezza popolare, però, ne ha una per ogni situazione ed anche per il suo opposto, tanto da far impallidire ogni elaborato sofisma.
Si dice anche: “fatt’ e fatt’ tuoi e truov’ chi te fa fa” ed è noto a tutti che “la paura fa 90”.
La città è una metropoli dove, usciti dal proprio quartiere, si diventa anonime nullità con l’unica preoccupazione di non prendersi grane e riportare a casa la pelle intatta.
È naturale che uno ci tenga alla propria pelle, sia detto senza ipocrisie, ma, se si è in tanti il pericolo è minimo. Eppure è ormai all’ordine del giorno assistere a scene di violenza inaudita per le strade al cospetto di un pubblico numeroso, che si gode lo spettacolo, ma non interviene: non si sa mai, per morire o farsi male basta un istante, un coltellino, un’arma tirata fuori subitaneamente ed usata prima della fuga.
La fuga sì, mi pare venga ancora coperta, l’omertà resiste, ma la solidarietà no.
Perché succede questo? Certo la gente ha paura dei violenti, si capisce, eppure è chiaro che se vengono lasciati agire impunemente, diverranno sempre più invadenti e c’è il rischio di una escalation, perché anche i violenti posseggono l’istinto di autoconservazione e quindi sono portati ad agire le violenze laddove ritengono non siano da temere ritorsioni (verso i deboli, è ovvio): in altre parole: “chi pecora si fa il lupo se la mangia”.
Una società che non è più in grado di proteggere una donna, un omosessuale o un barbone malmenati da un gruppo di delinquenti in strada, al cospetto pubblico, non è una società civile, nel senso che non possiede proprio neanche i primordi di una organizzazione sociale.
Se oggi questa forma di pavido individualismo è diventato un valore più forte e profondo della solidarietà e della empatia, siamo alle soglie di “matrix” nudi cervelli in un isolamento surreale, schiavi della confusione e delle mistificazioni della comunicazione mediatica.
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