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Il compleanno di Lucilla. Prima parte

Tanto tempo fa in un lontano paese di cui si è smarrita la memoria, viveva una piccola bambina, che la sua mamma aveva chiamato Lucilla perché era nata proprio all'alba, sul far del giorno, quando la luce comincia a penetrare dalle persiane socchiuse, sicché appena venuta al mondo, la fronte della piccola era stata lambita (baciata, usava dire la sua mamma) da un raggio luminoso sottile, di quelli che permettono di percepire il sottile pulviscolo roteante nell'aria, che, nel caso di Lucilla, era apparso come un pulviscolo composto da minuscoli granellini riverberanti una luce rosata ed accecante. Lo so sembra strano, ma la madre di Lucilla, assistita per l'occasione da un'anziana mammana assai rispettata in paese per le sue doti di guaritrice, avrebbe potuto giurare di avere visto con i propri occhi quella sottile polvere adamantina e ne aveva narrato ai suoi figli e familiari.

Tutti credevano o le avevano detto che doveva essersi trattato di una sua impressione alterata dal momento del parto: il sollievo e la gioia di vedere nascere finalmente una bambina dopo ben sette figli tutti maschi! Fatto sta che la vecchia mammana aveva regalato alla piccola un tenerissimo sorriso, malgrado le accadesse ormai di rado di sorridere, forse per la stanchezza e la disillusione che spesso accompagnano la vecchiaia avanzata come la sua. Il sorriso della mammana era considerato una sorta di benedizione magica in paese: la vecchia infatti aveva aiutato a nascere tutti i bambini che venivano al mondo in quel villaggio già da tantissimi anni, perciò molti di loro erano ormai adulti e si sapeva che quelli ai quali aveva sorriso erano poi diventate le persone più felici e fortunate del paese.

L'anziana levatrice però aveva lasciato questo mondo la sera stessa della nascita di Lucilla: l'avevano vista rientrare in casa sua, in fondo al villaggio ai confini col bosco e dopo nessuno era più riuscito a trovarla. Stranamente la cosa, pur addolorando tutti, non aveva destato stupore perché in fondo tutti pensavano che la vecchia fosse una specie di strega, anche se buona e per questo la rispettavano e la temevano.

Il matto del paese era un tipo tranquillo e buontempone: rideva per poco e riusciva a far divertire tutti con le sue uscite strampalate che tuttavia spesso contenevano qualcuna di quelle verità semplici e puerili che per discrezione e saper vivere cadono in ciò che è forse risaputo, ma non detto dalla maggior parte della gente. Questo mattacchione era un giovanotto con la barba lunga ed i capelli incolti di nome Berto e si sapeva che sua madre era volata via nel metterlo alla luce in giovane età, mentre del padre non si conoscevano notizie. Lui era cresciuto per la carità delle donne di chiesa, che si erano avvicendate nel prendersene cura quando era bambino, ma era venuto su con un carattere instabile facile al riso ed al pianto e del tutto incapace di fare qualcosa di utile che non fosse narrare favole, sputare sentenze stranamente sagge e fare battute divertenti. Per questo Berto viveva praticamente all'osteria ed erano in molti ad offrirgli da mangiare e da bere, chi per pietà, chi per divertirsi della sua compagnia. I bambini in particolare gli stavano dietro a frotte: c'era chi se ne prendeva gioco e chi invece stava ad ascoltare le sue bislacche fantasie, anzi per la verità abbastanza spesso erano gli stessi bimbi che facevano ora una cosa, ora l'altra, ma Berto non se ne aveva mai a male, questa era una delle sue stranezze. Sembrava non accorgersi affatto delle piccole cattiverie, dei dispetti e della sottile malignità di cui diventava spesso bersaglio da parte di grandi e piccoli nel paese.

Una delle favole che Berto narrava sovente riguardava proprio la storia della scomparsa della mammana: lui diceva di aver dormito nel bosco quella notte e di essere stato svegliato da un tintinnare di campanelli. Nascosto dai cespugli aveva assistito ad un rituale segreto che la vecchia strega nel cuore della notte stava celebrando nel bosco, proprio sotto un'antica quercia: gesti strani e ritmati e parole incomprensibili che si accompagnavano ad ogni battito di mani ad uno scolorimento della sua figura curvata dagli anni, tanto che infine divenne del tutto trasparente ed in un baleno di luce si frantumò in una miriade di stelline che svelte svelte volarono in cielo. Lui non si era spaventato: questa era un'altra delle sue stranezze, sembrava che nulla potesse fargli paura, ma aveva goduto lo spettacolo con stupore gioioso come un bimbo al teatrino delle marionette, poi ne aveva parlato in giro tante volte, specialmente quando gli offrivano da bere e naturalmente tutti ne ridevano oppure, facendo mostra di credergli, gli davano corda con domande su ogni più piccolo dettaglio della scena per divertirsene e canzonarlo.

Lucilla era ancora troppo piccola, usciva di casa solo con la madre, il padre o qualche fratellone grande (che di solito aveva poca voglia di tirarsela dietro) e perciò ignorava la storia della levatrice, ma sapeva soltanto di essere stata baciata dalla fortuna alla sua nascita per le meraviglie che ne raccontava la sua mamma. Quella mattina si svegliò ben consapevole che avrebbe festeggiato il suo sesto compleanno: era una data importante perché dopo sarebbe andata a scuola con i bambini grandi e perciò era piuttosto elettrizzata. La sera precedente era andata a dormire con la sua bambola preferita e le aveva fatto un bel discorsetto, spiegandole che a partire dal giorno successivo avrebbe potuto trascorrere con lei molto meno tempo del solito: stava per diventare grande e doveva comprare dei libri, imparare a leggere, scrivere e far di conto e poi frequentare la scuola per quasi tutto il giorno. La bambola in verità si era un po' imbronciata e Lucilla aveva dovuto consolarla fino a notte fonda, assicurandole e giurandole il suo affetto, malgrado gli imminenti cambiamenti.

La mattina comunque si era svegliata di buonora e di buon umore perché si aspettava, come per gli altri compleanni, di ricevere la colazione a letto a base di latte e cioccolato con i suoi dolcetti preferiti. Si sedette quindi in mezzo al letto con la schiena appoggiata ai cuscini, disponendosi ad una breve attesa. La sua mamma di solito era infatti molto mattiniera, anzi era strano che non fosse venuta a svegliarla... Trascorse così un bel po' di tempo o almeno a lei sembrò un'eternità: era molto impaziente invero di godersi le feste e le coccole del suo compleanno, ma... la mamma quella mattina non arrivò.

Era forse passata solo una mezz'oretta, ma a Lucilla sembrava giorno avanzato: era d'estate ed era una bellissima giornata. Si buttò giù dal letto abbandonando la sua bambola sui cuscini e si affacciò alla finestra della sua camera: il cielo era completamente terso senza neanche uno straccio di nuvoletta a cui fare le boccacce ed i tetti delle case brillavano come se al posto delle tegole ci fossero una miriade di specchi. La camera di Lucilla, rigorosamente separata da quelle dei fratelli, era l'ultima rimasta libera nella casa: in realtà era una cameretta recuperata nel sottotetto, ma quando lei era nata il suo papà l'aveva ripulita e ridipinta a nuovo, aveva sistemato tutte le crepe nei muri ed aggiustato la finestra. Insieme madre e padre avevano arredato ed adornato la stanzetta per renderla accogliente e comoda per la loro bambina. Il vantaggio era che lei ci dormiva da sola senza essere disturbata da nessuno, mentre i fratelli che dormivano in due o tre per camera stavano sempre a litigare per ogni piccolezza. In casa sua Lucilla era una vera principessa.

Stranamente quella mattina non si sentiva vociare dabbasso: Lucilla ne fu meravigliata ed indispettita. Che tutti si fossero dimenticati del suo compleanno? Decise di vestirsi ed andare a controllare cosa stava succedendo. Lucilla era una bambina esile con i capelli lunghi e nerissimi, che ogni mattina la sua mamma raccoglieva in una bella treccia: lei non era capace di pettinarli allo stesso modo, ma siccome voleva essere bella per il giorno del suo compleanno, decise comunque di provare almeno a spazzolarli. Voi non dovete credere che sia facile spazzolare i capelli quando sono lunghi: bisogna saperlo fare altrimenti quelli si intricano fra loro e si finisce per farsi male! Ma Lucilla andava di fretta: la sua irritazione infatti si era trasformata nel frattempo in una specie di presagio allarmante, una sensazione strana che la spingeva a muoversi per capire che fine avessero fatto tutti quanti.

La casa di Lucilla era abitualmente un ambiente rumoroso e confusionario, dove era difficile davvero trovare un attimo di pace e di silenzio: c'era sempre qualcuno che aveva da dire qualcosa di troppo importante per riuscire a stare zitto anche solo un momento e non è detto che questo fosse sempre un male perché anche i malumori e le impuntature finivano per disperdersi ed andare a fondo nella confusione generale, sicché non c'era un litigio né un rancore che ce la facesse a durare abbastanza a lungo da fare seri danni. Aveva uno specchio in camera la bambina e dopo avere indossato l'abito che le piaceva di più e le sue scarpette nuove, ora era allo specchio a litigare con i suoi capelli ed a fare le boccacce a quella riflessa nello specchio che sembrava affannarsi maldestramente nel districare i riccioli.

Finalmente fu pronta per presentarsi alla famiglia: aprì l'uscio della cameretta, scese la rampa di scale che la separava dal piano di sotto e sbucò in un piccolo disimpegno che si apriva direttamente in cucina. Tutto era silenzioso e deserto: la tavola sparecchiata il fuoco spento, le sedie vuote ed ogni cosa in ordine e linda come dopo la pulizia serale della mamma. Di certo quella mattina nessuno era passato di lì. La piccola si sentì avvampare ed avvertì due punture sottili proprio negli angolini degli occhi come lacrime che pur spingendo per uscire, erano anche loro troppo spaventate per venir fuori davvero e restavano lì dov'erano a farle pungere gli occhi. Alle sue spalle il piccolo disimpegno appariva insolitamente buio rispetto alla cucina inondata dalla luce che continuava ad entrare dalle finestre e sulla destra si apriva un corridoio angusto che conduceva alle camere dei genitori e dei fratelli.

Di solito non le era permesso entrare nelle camere degli altri: i suoi fratelli erano ormai quasi degli uomini ed i suoi genitori le avevano insegnato a non disturbarli quando erano nella loro stanza. Era una principessa sì, ma non di quelle viziate proprio morbosamente: il tempo per i capricci in casa sua proprio non c'era mai stato! Lucilla però a questo punto era davvero spaventata e, malgrado i divieti, si avventurò nel corridoio, bussando a tutte e quattro le porte delle camere da letto. Non avendo ottenuto risposta, la bambina si aggrappò ad ogni maniglia e riuscì ad aprire le porte: le camere dentro erano tutte in ordine, con i letti ben rifatti, ma completamente deserte!

Non sapeva cosa fare: corse indietro in cucina, poi salì le scale che portavano alla sua cameretta e scese di nuovo, ma niente, non si vedeva né sentiva anima viva. Guardò la porta di casa con un visino così torvo che è difficile immaginarlo in una bambina: sapeva di non poter uscire da sola e non voleva comportarsi male, magari era successo qualcosa di imprevisto e tutti i suoi cari sarebbero tornati di lì a poco. Così fantasticando e stanca di misurare in lungo ed in largo la sua casa, correndo per ogni dove, si accoccolò sulla sedia a dondolo vicina al caminetto e chiuse gli occhi. Finalmente quelle due piccole punture agli angoli si staccarono e cominciarono a scorrere piano piano a rigarle il viso. Si addormentò così e fece un sogno...

Poi continuo promesso!


Commenti

  1. Risposte
    1. Forse non proprio subito, ma arriverà. Grazie Cavaliere.

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  2. Cara Sfinge, veramente interessante la storia di Lucille.
    Ora sono ansioso di sentire come continua!!!
    Ciao e buona serata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
     Tomaso

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  3. Mantieni la promessa, aspetto il seguito.
    sinforosa

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  4. Cosa penso? E' un tuo scritto classico dove emerge la pedagogia filosofica di Inge.

    RispondiElimina
  5. bello, piccola Lucilla... aspetto la seconda parte.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Mariella: scriverò la seconda parte, ma credo tra qualche settimana. Buona giornata.

      Elimina

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