L'ultima seduta
Anche questa volta penso di partecipare all'iniziativa della mia amica Patricia, che come di consueto ha lanciato l'hastag mensile di #insiemeraccontiamo 44: vuol dire che questo gioco social di scrittura dura da 44 mesi, cioè tre anni ed otto mesi, un bel traguardo! Ne approfitto quindi per complimentarmi con lei per i suoi spunti e la sua perseveranza. Questa edizione dell'esercizio di scrittura ha il seguente incipit:
L’avrebbe salutata e poi le avrebbe detto di stendersi sul lettino e di iniziare a fare qualche esercizio di rilassamento. Le solite palle. Dopo di che avrebbe cominciato col domandare come era trascorsa la settimana. Capirai in sette giorni cosa poteva essere successo di così eccezionale.
Infine…. “E adesso mi dica una cosa,….”
Quello che segue il mio sviluppo:
"Lei quando pensa di poter concludere questo trattamento? Io purtroppo non sarò più in grado di occuparmi di lei e, da quanto capisco, al momento lei possiede tutte le risorse e gli strumenti necessari per poter camminare con le sue gambe. Se proprio non se la sente ancora, posso indirizzarla da una mia collega... Insomma: cosa intende fare?"
Lei si sentì smarrita, spiazzata ed abbandonata. Non le era sfuggita la breve esitazione e l'abbassarsi del tono della sua voce, quando aveva nominato la eventuale "collega". Se ne sentì ferita: ma certo, lui doveva aver capito benissimo i suoi sentimenti. Come avrebbe potuto sfuggirgli una cosa simile? Anche un bambino se ne sarebbe accorto di quanto lei si sentisse innamorata e lui non era mica un bambino, anzi uno del mestiere, lui lo sapeva da tempo. La mortificazione le avvampò il volto e poi subentrò la rabbia: abbandonarla così... e poi perché una collega? Credeva forse che lei si sarebbe innamorata di qualsiasi uomo? Che idea si era fatto? Per chi l'aveva presa? Avrebbe voluto piangere ed urlare, ma la situazione era già abbastanza imbarazzante così. Dopo qualche minuto di silenzio e di immobilità, cominciò ad alzarsi molto lentamente. Contenere le sue emozioni le costava molto sforzo e questo la rendeva particolarmente lenta ed assorta. Evitava di guardarlo, poi quando fu finalmente in piedi, gli parlò: poche parole, pronunciate lentamente, ancora più di quanto lo fossero i suoi movimenti. La sua voce era incolore e non lasciava trasparire nulla della sua tempesta interiore, quando gli disse:
"Lei quando pensa di poter concludere questo trattamento? Io purtroppo non sarò più in grado di occuparmi di lei e, da quanto capisco, al momento lei possiede tutte le risorse e gli strumenti necessari per poter camminare con le sue gambe. Se proprio non se la sente ancora, posso indirizzarla da una mia collega... Insomma: cosa intende fare?"
Lei si sentì smarrita, spiazzata ed abbandonata. Non le era sfuggita la breve esitazione e l'abbassarsi del tono della sua voce, quando aveva nominato la eventuale "collega". Se ne sentì ferita: ma certo, lui doveva aver capito benissimo i suoi sentimenti. Come avrebbe potuto sfuggirgli una cosa simile? Anche un bambino se ne sarebbe accorto di quanto lei si sentisse innamorata e lui non era mica un bambino, anzi uno del mestiere, lui lo sapeva da tempo. La mortificazione le avvampò il volto e poi subentrò la rabbia: abbandonarla così... e poi perché una collega? Credeva forse che lei si sarebbe innamorata di qualsiasi uomo? Che idea si era fatto? Per chi l'aveva presa? Avrebbe voluto piangere ed urlare, ma la situazione era già abbastanza imbarazzante così. Dopo qualche minuto di silenzio e di immobilità, cominciò ad alzarsi molto lentamente. Contenere le sue emozioni le costava molto sforzo e questo la rendeva particolarmente lenta ed assorta. Evitava di guardarlo, poi quando fu finalmente in piedi, gli parlò: poche parole, pronunciate lentamente, ancora più di quanto lo fossero i suoi movimenti. La sua voce era incolore e non lasciava trasparire nulla della sua tempesta interiore, quando gli disse:
"Non si preoccupi di me dottore: spero di cavarmela, ma nel caso ne sentissi il bisogno, saprò cercare da sola un altro terapeuta. Non è necessario che lei disturbi le sue colleghe."
Si avviò lentamente verso la porta, anche se il tempo della sua seduta non era ancora concluso. Sentiva su di sé lo sguardo di lui, se ne sentiva toccata, mentre gli volgeva le spalle: dovette controllarsi per non voltarsi a guardarlo a sua volta. Gli avrebbe detto: -Addio dottore- ed avrebbe aperto la porta, ma un attimo prima di farlo fu sorpresa dalla voce di lui alle sue spalle e ne fu letteralmente sorpresa perché la sentì per la prima volta vibrante di emozione.
"Giulia!" la richiamò lui. Aveva pronunciato il suo nome in un tono così intenso, sembrava quasi stranamente triste e supplichevole... Lei si bloccò di colpo, come se avessero staccato la spina all'automa, il pilota automatico, che lei innescava quando le toccava tenere a bada i propri sentimenti. "Giulia... non vuole che le spieghi per quale motivo non posso più occuparmi di lei?". Giulia, immobilizzata rigidamente ad un passo dalla porta, si girò. Lo guardò con freddezza. "Immagino avrà i sui impegni, dottore, ed inoltre mi ha già spiegato che considera concluso il mio percorso" ribatté Giulia, scrutandolo incuriosita, come se lo vedesse per la prima volta.
Si era aggrappata a lui per oltre due anni, come ad un'ancora di salvezza, era cresciuta all'ombra di quel piccolo porto sicuro ed accogliente, creato per lei nella rilassante penombra di quella stanzetta, era riuscita ad evocare i fantasmi della sua esistenza e ad affrontarli con la forza che lui riusciva ad infonderle con quella specie di sorriso rivelato dal luccichio profondo del suo sguardo. Aveva imparato a tollerarsi e non essere così rigida e severa con se stessa, aveva imparato a stemperare la rabbia, dissolvendola in quell'indulgenza, che può inglobare qualsiasi dolore e trarne nutrimento per le radici tenacemente affondate nella bellezza originaria del sentirsi vivi. Ora sapeva respirare e sapeva che qualcosa può essere tralasciato. Lui le era sempre sembrato una colonna di roccia, un grande, un luogo della mente dove poteva accoccolarsi e lasciarsi andare senza timore.
Aveva creduto che lui fosse così, forte ed, immenso e non poche volte aveva fatto di tutto per rendersi gradevole ed ottenere la sua attenzione e la sua approvazione, ma lui si era sempre limitato a farla sentire a proprio agio con quella sua familiarità amichevole, ma al tempo stesso formale. Benché le sembrasse sempre interessato a tutto quanto lei raccontava fino ad esserne a tratti assorto egli stesso, lei sentiva che quella curiosità era legata alla professionalità piuttosto che alla sua persona. Non avrebbe mai immaginato di poterlo vedere imbarazzato o a disagio: fino a quel momento non aveva mai battuto ciglio, per quanto strane e vergognose potessero sembrare a lei le vicende che pur gli aveva confidato. Eppure oggi per la prima volta le parve indifeso come un bambino.
Cercò di scacciare quel pensiero, quella maliziosa soddisfazione che, come una lama di luce col buio, fugava i buoni propositi maturati nel corso di quel lungo trattamento. Ma certo! Conosceva quel viso, quello sguardo velato dallo smarrimento, capì finalmente di essere la più forte: oh il dottorino era bello e sedotto, cotto e stracotto! In fondo era così giovane! Non le sarebbe stato difficile in quel punto distruggerlo: fargli tradire ogni suo principio deontologico, sapeva bene come essere irresistibile, specie con uno che ci era ormai già cascato. Ma non volle, non questa volta: era migliorata effettivamente da quella sua forma di narcisismo: era così che lui lo aveva definito.
"Sarà meglio che io vada dottore" ribadì senza fretta, trattenendo quella carezza, che l'avrebbe finito. "Va bene... Posso ricontattarla tra un po' di tempo? Vorrei assicurarmi che lei continui a sentirsi bene". Giulia sorrise dentro di sé: -Sì sì, come no? Ti vuoi assicurare- Decise di uscire prima che le venisse da ridere, ma non rispose.
Ahah
RispondiEliminaBellissimo questo colpo di scena, con annesso ribaltamento dei ruoli.
Giulia ha tutta la mia stima.
Brava tu per la fantasia e grandiosa Pat per la sua costanza, anche adesso che sta passando un brutto momento.
Buona serata.
Grazie Claudia: in tutta la scena sono stati mossi 3 passi... qualcosa bisognava pur inventarsi ;-)
EliminaMa che bellissimo racconto, complimenti, buona serata.
RispondiEliminasinforosa
Grazie Sinforosa. Buongiorno!
EliminaScrivi da dio.
RispondiEliminaMagari! Mi piacerebbe :-D Grazie Franco.
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RispondiEliminaL’avrebbe salutata e poi le avrebbe detto di stendersi sul lettino e di iniziare a fare qualche esercizio di rilassamento. Le solite palle. Dopo di che avrebbe cominciato col domandare come era trascorsa la settimana. Capirai in sette giorni cosa poteva essere successo di così eccezionale.
Infine…. “E adesso mi dica una cosa: "Tu vieni qui ma non riesci ad aprirti completamente, e questo mi impedisce di aiutarti". Lei lo guardò intensamente: " Io penso la stessa cosa di te". Lui si alzò e le prime carezze erano molto delicate e nello stesso tempo piene di fuoco.
Lei aspettava da tanto questo contatto fisico, lo prese per una mano trascinandolo nel lettino. Si alzò cominciando a spogliarsi lentamente per mostrare il suo splendido corpo voglioso d'amore.
Ahahah sei un ottimista Gus: non è così facile, se lo beccano, lo radiano dall'albo, capisci?
EliminaArdisco Non Ordisco -;)
EliminaDopo quello che hai scritto tu dalla fervida immaginazione, cosa poteva fare gus?
I miei sinceri complimenti per questo tuo racconto.
RispondiEliminaSaluti a presto.
Grazie Cavaliere.
EliminaInizio col farti i complimenti percome sei riuscita alla grande a ribaltare una situazione che pareva ovvia. Così ci hai lasciato senza parole :)
RispondiEliminaPoi ti ringrazio per gli elogi ma ti "correggo" se permetti.
Il gioco prosegue solo perchè i partecipanti sono sempre tanti ed entusiasti.
In fondo, io faccio poco. Siete voi lettore a dare stimolo a IR, a dargli sempre nuova vita e linfa.
Un abbraccio! Patri
Troppo modesta, Patricia. Grazie comunque e buon 25 aprile. Mi stringo all'abbraccio.
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