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Una possibile svolta nel trattamento della sindrome di Down

12/12/2013

L'ultima novità in fatto di ricerca per il trattamento della sindrome di Down viene da una università italiana, quella di Bologna e sembra al momento piuttosto convincente e di applicazione relativamente semplice, qualora i risultati ottenuti dovessero essere confermati e la sperimentazione nelle future applicazioni si rivelasse sufficientemente sicura da poter ottenere le autorizzazioni per le prime applicazioni in campo umano.


Lo studio, condotto da Renata Bartesaghi, Sandra Guidi, Fiorenza Stagni et al. e recentemente pubblicato sulla rivista Brain non ha messo al centro la correzione del difetto genetico, ma piuttosto quella delle sue conseguenze sulla neurogenesi durante lo sviluppo embrionale.
Tutti  sanno che la sindrome di Down è la malattia genetica più frequente (la prevalenza di 1/1.000 o 1/700) per lo più dovuta ad una anomalia numerica dei cromosomi (cosiddetta trisomia 21 libera) ora le conseguenze più invalidanti di questa patologia sono legate al ritardo mentale che essa comporta, per questo motivo l'attenzione dei ricercatori si è focalizzata appunto sulle alterazioni di sviluppo del tessuto nervoso.
Nel cervello Down infatti si osserva ridotto sviluppo (ipotrofia) dei prolungamenti cellulari (dendriti) e di conseguenza un drastico calo numerico delle connessioni e dei contatti (sinapsi) tra le cellule nervose.
Questo difetto della neurogenesi si verifica in epoca prenatale durante la gestazione e gli autori ritengono pertanto che una correzione dello sviluppo possa essere ottenuta durante la gravidanza.
La sperimentazione è stata condotta sui topi, somministrando un comune farmaco antidepressivo (la fluoxetina) durante la gravidanza: il successivo esame anatomico ha consentito di rilevare che gli animali con modello murino di sindrome di Down, trattati in questo modo avevano pressoché ripristinato il volume cerebrale, lo sviluppo delle terminazioni dendritiche, la ricchezza delle sinapsi e le potenzialità proliferative cellulari in tutte le zone del cervello.  Gli animali non trattati viceversa presentavano un grave impoverimento della neurogenesi con ridotto numero di cellule in tutte le zone cerebrali.

Se la utilità e l'efficacia di questo trattamento venissero confermate nella specie umana, la cosa rappresenterebbe  una svolta assolutamente radicale nella cura della sindrome di Down, ma questo, ovviamente è ancora tutto da verificare.


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