Il fuggiasco ed il clochard (parte seconda)
Paolo lanciò ancora uno sguardo infuocato nella direzione dei due che si attardavano in chiacchiere, furono solo pochi istanti di esitazione, poi si girò ansiosamente a guardare nella direzione presa dallo sconosciuto, che silenziosamente si allontanava: questi prima di girare l'angolo di una stradina si voltò a sua volta, facendogli cenno di sbrigarsi e senza attendere risposta si incamminò per un vicoletto in salita.
Paolo si vide solo per un attimo, acquattato dietro al muro e capì che i due in piazza presto si sarebbero guardati intorno per cercarlo: non ce l'avrebbe fatta da solo contro di loro, provò paura, disgusto e rabbia, ma anche l'amarezza per l'affetto in cui aveva creduto ed era ora irrimediabilmente perso.
Si era fidato dell'amicizia di Leonardo: sentiva le guance in fiamme, gli occhi rossi di sonno e di lacrime gelate dall'aria della notte, lacrime che non avrebbe mai più sciolto, né versato per tutta la sua vita.
Non pianse infatti, ma si mosse, defilandosi cauto e veloce all'ombra dei muri fino ad imboccare il vicolo ripido indicatogli dallo sconosciuto: qui, protetto in uno spazio più angusto, cominciò a camminare più liberamente mentre si sforzava di penetrare il buio con gli occhi per scorgere la sua nuova e strana guida.
L'uomo si era fermato quasi in cima alla stradina e lo aspettava: si inoltrarono nel labirinto di viottoli lastricati in pietra del centro storico della città, Paolo ad un certo punto afferrò il braccio dell'uomo, obbligandolo a fermarsi:
"Dove stiamo andando?" chiese.
Capiva che l'uomo lo aveva "salvato" da una situazione difficile, ma non era questo in fondo quello che aveva fatto per lui anche Leonardo? Si sorprese nell'avvertire il gelo e la diffidenza nel suo stesso tono brusco e breve, come se ascoltasse la propria voce per la prima volta: il barbone si fermò e lo guardò dritto negli occhi con calma, gravemente, senza l'ombra di tenerezza o compassione nello sguardo, senza quella specie di ironico compatimento che gli era capitato di scorgere a volte in altri sguardi e nemmeno quell'aria di navigata superiorità che spesso assumevano i più grandi.
Lo guardava semplicemente, senza che Paolo riuscisse a decifrare nulla in quegli occhi:
"Io sono Giacomo e non ho paura" rispose.
"Che vuoi dire? Ti ho chiesto dove stiamo andando!" ribatté Paolo.
"Voglio dire che tu non mi fai paura. Stiamo andando in un posto dove potremo riposare e mangiare qualcosa: hai fame?" detto questo l'uomo si svincolò dalla stretta del ragazzo ed aggiunse:
"Non sei obbligato a seguirmi, cavatela da solo se preferisci" quindi riprese a camminare.
Il ragazzo ne fu disorientato: non era questo quello che si aspettava, guardò verso l'uomo che si allontanava, si guardò indietro ed intravide dietro le case le prime luci dell'alba, decise in un attimo.
"Certo che ho fame, aspettami!" lo raggiunse di corsa, l'altro ora sembrava più disteso: sarebbe stato difficile dire che sorridesse, ma ... ecco cos'era! Gli occhi sprigionavano una luce che somigliava al sorriso.
"Siamo arrivati" borbottò senza voltarsi ed aprì un antico portone di legno, massiccio e pesante, Paolo vi si infilò ed il vecchio richiuse, quindi fece strada scendendo dei gradini che conducevano ad un sottoscala.
L'interno era umido, ma stranamente pulito ed ordinato al contrario del proprietario.
C'era un camino e Giacomo cominciò a darsi da fare per accendere il fuoco: sistemò prima alcuni vecchi giornali appallottolati, poi rametti piccoli e sopra un ceppo grosso, accese con un fiammifero la carta in diversi punti, quindi cominciò a soffiare con leggerezza.
Paolo lo osservava incantato, stordito dal freddo, dalle emozioni e dalla fame: si avvicinò al fuoco lasciandosene ipnotizzare, pian piano le fiammelle progredivano, i rametti crepitavano e le prime lingue di fiamma avvolgevano il ceppo. Un piccolo tappeto, una sedia a dondolo ed alcuni cuscini erano disposti intorno al caminetto: il ragazzo si accoccolò sul tappeto ed appoggiò la schiena alla sedia, Giacomo fece scivolare nella sua direzione un paio di cuscini mentre diceva:
"Metto su l'acqua per una minestra, ci vorrà un pò di tempo, puoi riposare intanto se vuoi".
Paolo decise di distendersi appoggiando la testa sui cuscini e si lasciò andare al tepore ed all'incanto delle scintille che giocavano davanti ai suoi occhi.
Si riprese di colpo senza ricordarsi dove fosse, stupito di non trovarsi nel proprio letto, come se il sonno notturno avesse cancellato tutti i suoi ricordi. Era buio, lui era avviluppato in un plaid disteso sul tappeto coi cuscini sparsi intorno a lui, il fuoco andava spegnendosi, ma l'ambiente era ancora caldo e lui aveva sudato.
Si tirò su a sedere e quando gli occhi furono abituati alla penombra si guardò intorno: era solo, ma in un angolo del camino c'era un piccolo vassoio con sopra un piatto coperto ed un pezzo di pane.
Si alzò e fece il giro della stanza: c'era solo una porticina dalla quale si entrava in un bagnetto piccolissimo, mancava il lavandino, c'era solo un lavatoio grande con acqua corrente, solo fredda, uno specchio minuscolo e la tazza del water scoperta: anche qui tutto era pulito, neanche un alone giallino come a volte succede negli igienici vecchi, eh si che quelli pure avevano l'aria di esser datati! Si rinfrescò il viso, l'acqua era ghiacciata, usò un asciugamano di tela grezza, quindi si diede ad esplorare sistematicamente l'ambiente: roba di cinque minuti, era solo la stanzetta che aveva visto entrando, le uniche prese d'aria erano sulla parete in alto quasi al soffitto, chiuse dalle inferriate all'esterno e non entrava luce, sarebbe stato difficile decidere se fosse notte o giorno! Istintivamente salì i gradini verso la porta di ingresso e girò la maniglia: la porta si aprì su un piccolo ballatoio dal quale poi si saliva ancora per raggiungere il portone del palazzo.
Paolo tirò un respiro di sollievo richiuse la porta e decise di dare un'occhiata al vassoio lasciato per lui all'angolo del camino. Davanti al cibo si scoprì terribilmente affamato e finì velocemente tutto quello che c'era.
Aveva bisogno di cambiarsi e lavarsi, ma l'idea dell'acqua fredda lo faceva rabbrividire: si era appena scaldato un pochino dopo la notte all'addiaccio.
"Dove sarà finito quel matto di Giacomo?" Riuscì a formulare questo pensiero mentre cercava di ravvivare il fuoco. Si accorse che non c'erano in giro orologi e mancava del tutto la luce elettrica:
"Insomma è proprio uno scantinato" si disse, ma poteva andar bene anche come nascondiglio, così decise di aspettare che il vecchio tornasse.
(continua ... forse)
(Per coloro che non l'avessero letta qui trovate la prima parte della storia ...)
Paolo si vide solo per un attimo, acquattato dietro al muro e capì che i due in piazza presto si sarebbero guardati intorno per cercarlo: non ce l'avrebbe fatta da solo contro di loro, provò paura, disgusto e rabbia, ma anche l'amarezza per l'affetto in cui aveva creduto ed era ora irrimediabilmente perso.
Si era fidato dell'amicizia di Leonardo: sentiva le guance in fiamme, gli occhi rossi di sonno e di lacrime gelate dall'aria della notte, lacrime che non avrebbe mai più sciolto, né versato per tutta la sua vita.
Non pianse infatti, ma si mosse, defilandosi cauto e veloce all'ombra dei muri fino ad imboccare il vicolo ripido indicatogli dallo sconosciuto: qui, protetto in uno spazio più angusto, cominciò a camminare più liberamente mentre si sforzava di penetrare il buio con gli occhi per scorgere la sua nuova e strana guida.
L'uomo si era fermato quasi in cima alla stradina e lo aspettava: si inoltrarono nel labirinto di viottoli lastricati in pietra del centro storico della città, Paolo ad un certo punto afferrò il braccio dell'uomo, obbligandolo a fermarsi:
"Dove stiamo andando?" chiese.
Capiva che l'uomo lo aveva "salvato" da una situazione difficile, ma non era questo in fondo quello che aveva fatto per lui anche Leonardo? Si sorprese nell'avvertire il gelo e la diffidenza nel suo stesso tono brusco e breve, come se ascoltasse la propria voce per la prima volta: il barbone si fermò e lo guardò dritto negli occhi con calma, gravemente, senza l'ombra di tenerezza o compassione nello sguardo, senza quella specie di ironico compatimento che gli era capitato di scorgere a volte in altri sguardi e nemmeno quell'aria di navigata superiorità che spesso assumevano i più grandi.
Lo guardava semplicemente, senza che Paolo riuscisse a decifrare nulla in quegli occhi:
"Io sono Giacomo e non ho paura" rispose.
"Che vuoi dire? Ti ho chiesto dove stiamo andando!" ribatté Paolo.
"Voglio dire che tu non mi fai paura. Stiamo andando in un posto dove potremo riposare e mangiare qualcosa: hai fame?" detto questo l'uomo si svincolò dalla stretta del ragazzo ed aggiunse:
"Non sei obbligato a seguirmi, cavatela da solo se preferisci" quindi riprese a camminare.
Il ragazzo ne fu disorientato: non era questo quello che si aspettava, guardò verso l'uomo che si allontanava, si guardò indietro ed intravide dietro le case le prime luci dell'alba, decise in un attimo.
"Certo che ho fame, aspettami!" lo raggiunse di corsa, l'altro ora sembrava più disteso: sarebbe stato difficile dire che sorridesse, ma ... ecco cos'era! Gli occhi sprigionavano una luce che somigliava al sorriso.
"Siamo arrivati" borbottò senza voltarsi ed aprì un antico portone di legno, massiccio e pesante, Paolo vi si infilò ed il vecchio richiuse, quindi fece strada scendendo dei gradini che conducevano ad un sottoscala.
L'interno era umido, ma stranamente pulito ed ordinato al contrario del proprietario.
C'era un camino e Giacomo cominciò a darsi da fare per accendere il fuoco: sistemò prima alcuni vecchi giornali appallottolati, poi rametti piccoli e sopra un ceppo grosso, accese con un fiammifero la carta in diversi punti, quindi cominciò a soffiare con leggerezza.
Paolo lo osservava incantato, stordito dal freddo, dalle emozioni e dalla fame: si avvicinò al fuoco lasciandosene ipnotizzare, pian piano le fiammelle progredivano, i rametti crepitavano e le prime lingue di fiamma avvolgevano il ceppo. Un piccolo tappeto, una sedia a dondolo ed alcuni cuscini erano disposti intorno al caminetto: il ragazzo si accoccolò sul tappeto ed appoggiò la schiena alla sedia, Giacomo fece scivolare nella sua direzione un paio di cuscini mentre diceva:
"Metto su l'acqua per una minestra, ci vorrà un pò di tempo, puoi riposare intanto se vuoi".
Paolo decise di distendersi appoggiando la testa sui cuscini e si lasciò andare al tepore ed all'incanto delle scintille che giocavano davanti ai suoi occhi.
Si riprese di colpo senza ricordarsi dove fosse, stupito di non trovarsi nel proprio letto, come se il sonno notturno avesse cancellato tutti i suoi ricordi. Era buio, lui era avviluppato in un plaid disteso sul tappeto coi cuscini sparsi intorno a lui, il fuoco andava spegnendosi, ma l'ambiente era ancora caldo e lui aveva sudato.
Si tirò su a sedere e quando gli occhi furono abituati alla penombra si guardò intorno: era solo, ma in un angolo del camino c'era un piccolo vassoio con sopra un piatto coperto ed un pezzo di pane.
Si alzò e fece il giro della stanza: c'era solo una porticina dalla quale si entrava in un bagnetto piccolissimo, mancava il lavandino, c'era solo un lavatoio grande con acqua corrente, solo fredda, uno specchio minuscolo e la tazza del water scoperta: anche qui tutto era pulito, neanche un alone giallino come a volte succede negli igienici vecchi, eh si che quelli pure avevano l'aria di esser datati! Si rinfrescò il viso, l'acqua era ghiacciata, usò un asciugamano di tela grezza, quindi si diede ad esplorare sistematicamente l'ambiente: roba di cinque minuti, era solo la stanzetta che aveva visto entrando, le uniche prese d'aria erano sulla parete in alto quasi al soffitto, chiuse dalle inferriate all'esterno e non entrava luce, sarebbe stato difficile decidere se fosse notte o giorno! Istintivamente salì i gradini verso la porta di ingresso e girò la maniglia: la porta si aprì su un piccolo ballatoio dal quale poi si saliva ancora per raggiungere il portone del palazzo.
Paolo tirò un respiro di sollievo richiuse la porta e decise di dare un'occhiata al vassoio lasciato per lui all'angolo del camino. Davanti al cibo si scoprì terribilmente affamato e finì velocemente tutto quello che c'era.
Aveva bisogno di cambiarsi e lavarsi, ma l'idea dell'acqua fredda lo faceva rabbrividire: si era appena scaldato un pochino dopo la notte all'addiaccio.
"Dove sarà finito quel matto di Giacomo?" Riuscì a formulare questo pensiero mentre cercava di ravvivare il fuoco. Si accorse che non c'erano in giro orologi e mancava del tutto la luce elettrica:
"Insomma è proprio uno scantinato" si disse, ma poteva andar bene anche come nascondiglio, così decise di aspettare che il vecchio tornasse.
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