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Un'ordinaria storia di clandestinità


11/09/2013

Una notizia di cronaca banale, potremmo dire ormai ordinaria in questo periodo in cui l'immigrazione  clandestina è divenuta un dramma quotidiano non solo discusso, ma (oserei dire) strumentalizzato da tutti.

La cronaca, riferita da Rainews, racconta di questo ragazzino di 15 anni di nazionalità egiziana  salvato per un pelo dalla polizia stradale di Cassino, mentre viaggiava (manco a dirlo, clandestinamente) nascosto in un Tir carico di auto, sotto una intercapedine esterna, vicino al tubo di scappamento: il ragazzo è stato scoperto questa mattina, ormai allo stremo delle forze, grazie alla segnalazione di un automobilista che aveva notato le sue gambe sporgere dal Tir. L'autista del camion non si era accorto di nulla e quando la polizia lo ha fermato sembra sia rimasto anche lui sconvolto nello scoprire il giovane infreddolito, affamato e provato dal lungo e precario viaggio. Il Tir partito dalla Calabria, era infatti diretto in Toscana e sembra che il ragazzo abbia percorso 800 chilometri in quelle condizioni. Attualmente il giovane è ospite di una casa famiglia per minori.

Ho pensato ai 15 anni dei nostri figli, ho ricordato del clandestino morto cadendo da un aeroplano, ho riascoltato mentalmente tutte le polemiche fra le persone che sostengono che l'Italia  ormai  non è più in grado di assorbire altri flussi migratori e quelli che invece vorrebbero accogliere tutti, subito ed  a pieno diritto.
Non parlo dei razzisti, quelli sono un capitolo a parte, ma vorrei ragionare, quindi non prenderò in considerazione quel punto di vista, che essendo irrazionale, non avrebbe titolo per ottenere spazio in un ragionamento.
Ho viva negli occhi l'immagine dei barconi sfasciati ed accatastati in uno spazio vicino al porto di Lampedusa: sono i barconi dei migranti naufragati ed almeno in parte salvati dal mare.
Nel mucchio degli scafi sfondati trovate scarpe, materassi, perfino occhiali: effetti personali di chi ha viaggiato in quelle barche, oggetti che raccontano storie simili a quella del ragazzo di questa mattina.
Storie di gente disperata che di fatto rischia la vita per spostarsi o forse meglio, fuggire da qualcosa e di fatto soffre e spesso muore in ogni viaggio.

Quanto vale una vita? Quale vita?

Prima di tuffarsi in acqua per salvare qualcuno che sta annegando è opportuno essere sicuri di saper nuotare bene e di avere abbastanza fiato per raggiungere fra le onde la persona da trarre in salvo per poi riportare a riva se stessi e l'altro: tuffarsi senza saper nuotare sarebbe solo un suicidio di nessuna utilità, anzi raddoppierebbe il problema di chi, avendone le capacità, volesse cimentarsi nell'impresa.
Ugualmente per offrire aiuto reale a queste persone bisogna disporre delle risorse necessarie: questi sono i disperati del mondo, arrivano in Italia solo perché è la costa più vicina ed in genere neanche loro hanno voglia di restarci.
L'Italia da sola non può farcela: sarebbe disonesto chiederlo al nostro popolo tanto quanto sarebbe disumano rifiutare l'aiuto a queste persone.
Il problema riguarda tutte le nazioni: è un'emergenza umanitaria che non può essere ignorata, né scaricata interamente sulla nostra gente già da tempo sotto pressione per la crisi economica.
Questa è una realtà, altre cose possono essere forme di servilismo verso stati più potenti o forme di demagogia spicciola, ma non bastano ad affrontare la realtà.

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