Le due giovani indiane morte per stupro del "branco"
La stampa non ne ha trasmesso i nomi, probabilmente per una forma di delicatezza e rispetto del dolore delle loro famiglie. Non abbiamo i volti da ricordare. Su di loro è calato il velo della sofferenza e del rispetto che non hanno avuto da vive: l'onore della morte si esprime nel silenzio delle loro case.
Ricostruiamo le storie con ordine, per ciò che siamo riusciti a saperne: il 27 dicembre muore suicida una ragazza di 17 anni: aveva subito uno stupro di gruppo il 13 novembre scorso ed aveva (coraggiosamente) denunciato l'accaduto; nessuno però era stato arrestato, ma in compenso la polizia continuava a tormentarla perché ritirasse la denuncia in cambio di denaro o, addirittura, di un matrimonio "riparatore" (e non occorre molta fantasia per immaginare cosa avrebbe potuto essere la sua vita tra maltrattamenti ed abusi di ogni genere, senza contare il disgusto e l'autonegazione assoluta, se mai la poveretta si fosse lasciata persuadere).
Hanno continuato a torturarla per un mese e mezzo ed infine l'hanno indotta al suicidio.
Era l'unica via di uscita, la più dignitosa e la meno dolorosa: meglio morire in un solo colpo che lasciarsi ammazzare con una lunga ed umiliante agonia! Stranamente dopo la sua morte sono stati individuati i colpevoli: si sapeva già chi erano, evidentemente, ma i poliziotti hanno cercato di proteggerli in tutti i modi.
La denuncia, certo, avrebbe rovinato la vita e la reputazione di tali galantuomini!
Il 28 dicembre muore in un ospedale di Singapore la ragazza di 23 anni stuprata e malmenata su un autobus il 16 dicembre scorso, dopo due settimane di agonia: trauma cranico, infezioni all'addome ed ai polmoni.
Dopo la violenza è stata letteralmente gettata via dall'autobus.
Ora dovranno riportare il suo corpo in India e la polizia si è mobilitata, temendo i disordini e l'indignazione della gente: solo ora la polizia si è mobilitata, ma per prevenire le manifestazioni di protesta.
Insomma, se vi trovate a Nuova Delhi, meglio essere scortate e non contare sulle locali forze di polizia: si attiveranno per proteggere dal linciaggio gli eventuali aggressori (poveretti!).
Ora in India sotto la pressione della furiosa ondata di rabbia e di protesta del popolo, pare vogliano cambiare qualcosa: arruoleranno più donne in polizia e creeranno una banca dati on line con i nomi dei pervertiti, violenti e stupratori.
Dicono che queste donne sono un simbolo e che il loro "sacrificio" non sarà stato vano, ma servirà a migliorare la sicurezza delle donne indiane, specie a Nuova Delhi, dove avvengono moltissime violenze.
Un simbolo che non ha nome, né volto, un simbolo che non ha voce, né parole.
Non una immagine, non un suono: cosa simbolizzano dunque?
Simbolizzano il silenzio, la vergogna, l'omertà e soprattutto la colpa di essere donne.
Perché la loro colpa è stata quella di uscire in strada, andare al cinema o a fare una passeggiata, invece di rimanere in casa ad occuparsi di lavori servili.
Cosa accade in Italia, intanto? Non siamo tanto più avanti e per quel poco poco che abbiamo ottenuto in più ci sono sempre i paladini della vita (esclusa quella delle donne, però) e della famiglia che si sforzano di rimediare ...
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