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L'atterraggio




Il bagliore fu qualcosa di diverso dall’accecante, come una sensazione troppo forte perché la fragilità dell’esile corpo potesse reggerlo, l’annientò e gli bloccò il fiato in gola: sentiva male alle orecchie, un rombo violentissimo e poi, all’acme del dolore, una specie di sommesso scampanio che lo cullò in un mare infinito di sgomento, infine un silenzio surreale, uno spazio ovattato nel quale il corpo non urtò, galleggiò, nulla. Nessuno saprà mai quanto tempo ed in quale luogo rimase privo di coscienza: in quel luogo non c’era storia.
La storia comincia in un’ umida mattina autunnale, fredda, molto vicina all’inverno: gli animali della riserva cominciavano il letargo, cercavano un buco, una tana, qualcosa di caldo dove infilarsi  …. e lo trovarono, sembrava un rottame arrugginito e contorto, con lamiere rossicce attorcigliate come un festone di carnevale: sotto una lamiera l’orso riuscì ad infilarsi e stranamente quella insolita tana era piacevolmente tiepida, l’esplorò e la tastò con le zampe fino a raggiungere il fondo dove provò ad adagiarsi, ma il suo peso sfondò il pavimento o forse fece aprire una porta e l’orso ammaccato ed irritato si ritrovò in una piccola tana, calda ed asciutta illuminata da una luce soffusa verdognola. La sorpresa ed il dolore della caduta lo resero cauto, si guardò intorno e lo vide: il ragazzo era molto magro, coi capelli lunghi ed incolti e dormiva, respirando regolarmente, su qualcosa di morbido. L’animale intuì che avrebbe dovuto lottare per impadronirsi del luogo:  indolenzito ma ancora pronto a scattare, cominciò ad avvicinarsi e ad annusare, era un aroma nuovo e per lui abituato ai profumi del bosco, mai sentito prima.
La tensione era alta ed il cuore batteva veloce: istintivamente l’orso paventava il pericolo insito in quelle cose sconosciute.
Non era possibile avvicinarsi al ragazzo: qualcosa come uno spesso fluido trasparente, invisibile, ma tangibile lo circondava simile ad una bolla di cristallo.
 Una scia cominciò a muoversi e mescolarsi dentro la bolla: erano ombre, luci e colori che in breve cominciarono a definire delle forme sempre più chiare  che andavano animandosi in una loro successione.
Sotto la pelle candida del viso del fanciullo iniziarono a contrarsi alcuni muscoli: piccole cose come delle smorfie, sembrava quasi che sognasse. Il silenzio e l’immobilità  lentamente ipnotizzarono l’animale, il gioco di luci ed ombre ne captò l’attenzione ed esso cominciò buffamente a seguire con gli occhi quel movimento, ecco la curiosità divenire più forte della rabbia e della paura, ecco nascere anche in lui una forma  primitiva di  intelligenza!

Il fanciullo  sognava: un tempo indefinito, in  uno spazio gelido e stellato un misterioso corpo celeste, viaggiava in un’orbita vorticosa, ma  in un punto  precipitava rovinosamente, attratto dal fascino di un abisso senza fondo. Vi era caduto per sparirvi, ma nelle caduta aveva liberato un raggio di energia, un’accecante arcobaleno multicolore.
Il raggio, senza punto di origine, come la luce di una stella spenta aveva iniziato il suo viaggio nello spazio, tagliando le tenebre.
Solo dopo molti milioni di anni aveva incontrato sulla sua traiettoria questo pianeta e stridendo sulla superficie di roccia aveva prodotto un violento vortice di vento che risucchiava in sé le scintille e la polvere di pietra. Quando tutto fu finito, il vortice lasciò in terra una specie di coagulo nel quale era rimasto stranamente intrappolato un cucciolo, non si sa di cosa forse una specie di scimmietta, e del quale sua madre non seppe più nulla fino alla sua stessa morte. Sua madre vide altre stagioni d’amore, ebbe altri cuccioli, forse figurò nella sua mente primitiva la sua creatura divorata da bestie feroci, quella madre  infatti aveva perso così altri cuccioli, ella visse, dimenticò, morì.
Privo di radici ed agganci al mondo reale e tuttavia ancora vivo in quel prodigioso coagulo, il fanciullo dormiva ….
L’orso si tranquillizzò: non v’era alcun pericolo, nulla lo disturbava e così iniziò il letargo.
E poi, come sempre accade con l’avvicendarsi delle stagioni, giunse la primavera: l’orso lasciò la tana in cerca di cibo ed anche il fanciullo si svegliò, sembra che anch’egli in quel punto sentisse appetito ed il bisogno di sgranchirsi le giunture. Stranamente, quando egli si mise in piedi la bolla di “protezione” si dileguò, né mai il giovane avrebbe potuto ricordare od immaginare di avere mai visto qualcosa di simile ed infatti non poteva davvero averla veduta.
L’orso forse.. ma gli orsi non sanno parlare.

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