Avviso

Attenzione: questo è un blog antifascista ed antirazzista. Gli esseri umani sono tutti benvenuti. Grazie per la visita!

Nome

Email *

Messaggio *

Femminicidio





L'ultima vittima in ordine di tempo è Jamila Assafa, uccisa a Budrio dal marito venerdì 22 febbraio, ma Jamila è già la 13° vittima dall'inizio di quest'anno ed il suo caso è già dimenticato: non fa notizia.


Nel 2012 vi sono state 120 vittime di femminicidio.
Si calcola che un in un terzo degli assassini che si registrano, le vittime siano di sesso femminile e sette donne su dieci vengono uccise in famiglia.
Il femminicidio non è un semplice  assassinio, ma contiene una connotazione specifica che è legata alla violenza di genere: qualcosa insomma di correlato con una impostazione "sessista" nella mentalità e nella cultura proprie del contesto in cui la violenza viene compiuta.
Come molti possono notare, sessista fa rima con razzista ed il femminicidio trova una risonanza nella cultura discriminante contro le donne, tanto quanto l'omicidio a sfondo razziale la trova in quei tipi di ideologia che teorizzano l'inferiorità o la superiorità di una razza umana rispetto ad altre.

Sotto il profilo giuridico quindi la connotazione di genere potrebbe e dovrebbe costituire una aggravante per il reato così come il riconoscimento della motivazione di odio razziale lo è per le violenze ed i reati inscrivibili in questa matrice.

Il sessista ed il razzista si formano nella convinzione della propria superiorità rispetto all'altro sesso e/o all'altra razza: spesso la capacità di dimostrare ed agire questa supposta superiorità incide sull'immagine che essi riescono a costruirsi di se stessi  e di conservare quindi la stima di sé.
In questo meccanismo la cultura infarcita di disprezzo per il genere o per la razza discriminate gioca un ruolo senz'altro importante, ma non determinante: non tutte le persone appartenenti a quella cultura giungono alla violenza fisica ed all'assassinio.
La cultura che penalizza il genere femminile è radicata in millenni di civiltà ed è parte del linguaggio che ciascuna bambina apprende fin dalla più tenera età: si pensi a locuzioni comuni (essere come una femminuccia) ed addirittura a terminologie scientifiche (isteria dal greco hysteron = utero) dove è chiaro l'aspetto svalutante e dispregiativo assolutamente esplicito. 


Il linguaggio di per sé è una immensa miniera di discriminazioni sessiste: pensiamo soltanto a quanto sia difficile trovare il corrispettivo femminile di tanti sostantivi e definizioni che qualificano ruoli e professioni di prestigio sociale (deputato, ingegnere e via dicendo) si pensi soltanto che per regola grammaticale un plurale misto (ad esempio: bambini e bambine) diventa un plurale maschile (bambini): il maschile comunque prevale nel linguaggio come nella realtà della vita.

La lingua è quella parte della cultura umana (appunto, come si vede) che abbiamo appreso, in parte automatizzato e su cui non sempre esercitiamo il controllo di una scelta consapevole.
L'assunto di base di questa cultura, l'idea sottesa e più o meno esplicitata a seconda dell'orientamento ideologico, religioso o anche politico degli individui, è che esista in natura il dato della superiorità di un genere sull'altro: l'uomo deve essere superiore alla donna e quando non lo è non è un vero uomo.
Una tale concezione spiega alcune caratteristiche della educazione che viene normalmente impartita alle bambine: esse, molto più dei coetanei dell'altro sesso,  vengono educate alla obbedienza, al sacrificio, al dovere verso gli altri ... vengono giudicate molto più severamente ed addestrate a comprendere ed a giustificare le altrui collere, di cui sono portate a sentirsi colpevoli.
Insomma per dirla in breve vengono istruite a ricoprire con dolcezza e remissione il ruolo di sesso debole che è stato loro assegnato, fino a diventare vittime di esso.
Difficilmente un femminicidio, che si consuma in famiglia, avviene senza avvisaglie: per lo più si tratta di donne che hanno subito per anni violenze, sopraffazioni, abusi fisici e psichici di ogni genere, magari non hanno denunciato, magari hanno pensato che fosse  colpa loro, magari speravano che qualcosa cambiasse ...
La domanda lecita è: perché non sono scappate? Perché non hanno saputo sottrarsi ad una tale situazione?
Ma la cosa più penosa sta proprio nella risposta che potremmo noi cercare di dare ad una simile domanda: non hanno trovato aiuto a cominciare dai loro stessi familiari.
Esiste infatti un pregiudizio sociale per il quale la donna che rompe il proprio legame familiare e/o matrimoniale sia "una poco di buono" e viene considerata responsabile del fallimento del legame.
Mentre esiste una notevole solidarietà sociale in Italia intorno ad una vedova, la separata o divorziata viene solitamente emarginata  e non supportata socialmente ...

Questo costume che tranquillamente possiamo considerare il terreno di coltura adatto e nutriente per lo sviluppo dei comportamenti maschili violenti, che poi sboccano nel femminicidio è proprio quello che va smantellato se si vuole restituire la dignità alle donne che ne sono morte ed a quelle che affrontano oggi la loro vita.

Commenti

Potrebbero interessarti anche:

Ci sedemmo dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti erano occupati

Chiacchiere e tabacchere e’ lignamm o’ Banco ‘e Napule nun ne ‘mpegna!

L'antica saggezza dei proverbi: "O munn è comm un so fà 'ncapa"

Gentilezza ed empatia

L’ombra di Peter Pan