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Prospettive di trattamento per la paraplegia spastica familiare

La paraplegia spastica familiare è un disturbo classificato tra le malattie rare, con una incidenza di 2-6 casi ogni 100.000 abitanti. Bisogna precisare che non si tratta di una patologia univoca, ma di un insieme di patologie con diversa espressività clinica, da forme lievi puramente motorie a forme gravi con compromissione sia motoria che intellettiva, con variabilità nella età di comparsa dei sintomi, che possono esordire nel bambino o nell'adulto ed infine con diversi tipi di trasmissione genetica (dominante o recessiva o ancora recessiva legata al sesso).
In tutti i casi si tratta di una malattia neurodegenerativa con sintomatologia gradualmente ingravescente e con variabilità nella velocità di evoluzione ed in tutti i casi il sintomo rilevato è una paralisi spastica prevalente agli arti inferiori che può accompagnarsi o meno a compromissione intellettiva.

Al momento sono noti diversi geni (punti specifici del genoma) la cui mutazione può essere in causa per ciascuna delle diverse forme di paraplegia spastica familiare: si tratta pertanto di una patologia composita e per la quale attualmente non esistono cure risolutive.
Recentemente uno studio pubblicato sulla rivista PNAS condotto dai ricercatori dello Scripps Research Institute, guidati da Benjamin F. Cravatt, si è concentrato sul difetto enzimatico presente in un sottoinsieme di queste patologie e precisamente quello che interessa le forme più gravi dove le compromissioni del tessuto nervoso coinvolgono sia le funzioni motorie che cognitive.

Il gene mutato in questi casi studiati è quello deputato alla codificazione dell'enzima DDHD2, il malfunzionamento dell'enzima produce un accumulo di sostanze grasse nelle cellule nervose ed i ricercatori hanno provato che si tratta di trigliceridi.
La malattia è stata riprodotta sperimentalmente nei topi, sia creando una alterazione genetica equivalente, con delezione della parte di materiale genetico deputato alla codificazione dell'enzima, sia, in un altro gruppo di animali, utilizzando un inibitore specifico di questa proteina enzimatica.
In entrambi i casi i ricercatori hanno ottenuto un accumulo di goccioline di  grasso nelle cellule nervose, esattamente si tratta di trigliceridi.

L'individuazione del meccanismo e della sostanza di accumulo responsabile delle alterazioni neurologiche sperabilmente in una seconda fase di sperimentazione potrebbe consentire l'individuazione di un meccanismo capace di contrastare l'accumulo, come per esempio, l'utilizzo di sostanze (DGAT) capaci di inibire la produzione naturale di trigliceridi.

Una speranza per una prospettiva futura e che se avesse successo richiederebbe sempre precocità di trattamento.



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