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Parlare di lavoro: la prospettiva dal basso

Si parla molto di lavoro negli ultimi giorni, veramente ad essere precisi si parla molto dei litigi sul cosiddetto Jobs act insomma la riforma del lavoro proposta da Renzi,  che tante discussioni sta generando all'interno del PD e tra il governo ed i sindacati.
Intanto, cercare di capirci qualcosa non è semplice: la stampa tende ad indugiare sulle osservazioni, sulle botta e risposta dei vari politici tra loro, ma se uno volesse formarsi una opinione ecco che diviene arduo riuscire a reperire un resoconto chiaro e dettagliato di cosa preveda esattamente questo jobs act e quali siano i punti in discussione, nel senso che una persona con scarsa attitudine per il gossip, ma un certo interesse alla comprensione dei contenuti, potrebbe anche infischiarsene di quello che si dicono fra loro Renzi, Bersani e Camusso, ma voler comprendere cosa effettivamente è proposto nel decreto per formarsi una propria opinione.

Partiamo prima da una considerazione di realtà: lavoro non ce n'è oggi e quel poco che c'è è precario: i precedenti governi di centrodestra si sono premurati di andare incontro ai forti settori dell'imprenditoria, abbassando il costo del lavoro e consentendo di assumere personale non garantito da alcuna tutela, con contratti a termine, contratti a progetto, contratti co.co.co. o cocodé (che non cambia molto) e così via, gente sottopagata,  non tutelata, ma che lavora anche parecchio e rimane fortemente ricattabile, essendo il contratto a scadenza e non necessariamente rinnovabile.
Quali benefici abbiano ricevuto da questa politica il mondo del lavoro, i tassi di disoccupazione, per non dire del Pil, ce lo ricorda mensilmente l'Istat con i suoi grafici sempre disponibili sul sito e (come dire?): questa medicina di penalizzare i lavoratori per incentivare le assunzioni non sembra sia stata efficace fino ad oggi nel determinare alcun tipo di ripresa della economia.

Abbiamo, ora come ora, un considerevole numero di lavoratori, già in servizio da tempo con una delle varie forme di precariato e che con buona pace di tutti, andrebbero regolarizzati.
Certo il lavoratore costa, malgrado le retribuzioni siano a picco negli ultimi mesi: comprendo che l'imprenditore ne farebbe anche a meno se potesse, ma ... disgraziatamente il costoso lavoratore è l'unico soggetto produttivo in tutta la baracca e non lo si può eliminare, neanche volendo.

Cosa si può fare dunque per compiacere gli imprenditori ed incoraggiare investimenti? 

Ovviamente le aziende, le imprese e le grandi multinazionali preferiscono trasferirsi nei paesi in via di sviluppo dove riescono a trovare manodopera a buon mercato: noi qui in occidente, al massimo troviamo  qualche etichetta con un SOS di qualche giovane schiavo di una fabbrica sperduta Dio sa dove, la cosa circola per un pò sui giornali ed in rete, poi smettiamo di parlarne e continuiamo imperterriti a consumare i prodotti di quell'azienda.

Qualunque cosa intenda fare Renzi, dalla possibilità per il padrone di "demansionare" un dipendente, ai contratti di assunzione cosiddetti "a tutele crescenti" cioè, se ho ben capito, senza alcun diritto contrattuale nel primo triennio ed in seguito con una lenta acquisizione di tutele in base all'anzianità di servizio (sempre con la speranza di riuscire ad acquisire il diritto alla pensione in tempo utile) qualunque cosa intenda fare Renzi, dico, non riuscirà mai a proporre un'alternativa sul costo del lavoro abbastanza appetibile per un imprenditore, che comunque può trovare di meglio (dal suo punto di vista) in qualcuna delle economie emergenti del pianeta.

Varrebbe la pena allora, constatato che privare i lavoratori di dignità e tutele non è stata fino ad ora e non sarà in futuro una misura utile al rilancio della economia, stabilire quali sono i valori da rispettare sul piano umano nella persona del lavoratore e cominciare ad esportare quelli, anziché i capitali.


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