la plastica che si autoripara
Una curiosità scientifica interessante e forse suscettibile di applicazioni future utili alla civiltà è l'invenzione di un tessuto plastico capace di ripararsi da solo. La ricerca è stata pubblicata oggi su Science.
A voler proprio cercare il pelo nell'uovo, sarebbe stato più immediatamente utile all'umanità ed all'ecosistema riuscire ad ottenere in laboratorio colonie di microrganismi capaci di degradare la plastica fino a prodotti atossici per la fauna e la flora marittime e terrestri, visto che viviamo in un mondo dove i prodotti plastici, non biodegradabili, raccolti nel Pacific Trash Vortex (ma non soltanto) sembra siano di fatto già entrati nelle catene alimentari della fauna ittica e rischiano pertanto, prima o poi (forse prima) di contaminare anche l'alimentazione umana con tutte le conseguenze immaginabili.
Cosa hanno inventato invece? La plastica che si ripara da sola se viene strappata, forata o comunque danneggiata: mah! Non resta che sperare che questo tessuto autorigenerante possa aiutare in futuro a ridurre il volume dei rifiuti plastici, visto che per le sue proprietà autoriparative dovrebbe consentire di ottenere prodotti capaci di durare più a lungo, anziché di tipo usa e getta, come attualmente sono molti dei prodotti plastici.
Comunque, veniamo alla ricerca: il lavoro si deve ad un gruppo di studiosi della Università dell'Illinois, sotto la guida del professor Scott White. Il tessuto plastico capace di ripararsi da solo è stato costruito sul modello della rete capillare dei nostri vasi sanguigni, quindi formato da strutture microtubulari con due diversi tipi di contenuti interni che si conservano fluidi (come il nostro sangue) finché non vengono a contatto fra loro: se la plastica viene lacerata o forata in un punto, i fluidi interni fuoriescono, mescolandosi e gelificando, quindi si induriscono e formano una sorta di cicatrice, un tappo che ripara il danno.
Con questo sistema questi ricercatori sono riusciti ad ottenere una apparentemente perfetta riparazione anche di un foro di 3 cm. cosa fino ad oggi impossibile, ma la cicatrice sembra abbia una resistenza minore rispetto al tessuto intatto (circa il 62%).
Dall'abstract dell'articolo su Science:
"After restoration of impact damage, 62% of the total absorbed energy was recovered in comparison with that in initial impact tests."
A voler proprio cercare il pelo nell'uovo, sarebbe stato più immediatamente utile all'umanità ed all'ecosistema riuscire ad ottenere in laboratorio colonie di microrganismi capaci di degradare la plastica fino a prodotti atossici per la fauna e la flora marittime e terrestri, visto che viviamo in un mondo dove i prodotti plastici, non biodegradabili, raccolti nel Pacific Trash Vortex (ma non soltanto) sembra siano di fatto già entrati nelle catene alimentari della fauna ittica e rischiano pertanto, prima o poi (forse prima) di contaminare anche l'alimentazione umana con tutte le conseguenze immaginabili.
Cosa hanno inventato invece? La plastica che si ripara da sola se viene strappata, forata o comunque danneggiata: mah! Non resta che sperare che questo tessuto autorigenerante possa aiutare in futuro a ridurre il volume dei rifiuti plastici, visto che per le sue proprietà autoriparative dovrebbe consentire di ottenere prodotti capaci di durare più a lungo, anziché di tipo usa e getta, come attualmente sono molti dei prodotti plastici.
Comunque, veniamo alla ricerca: il lavoro si deve ad un gruppo di studiosi della Università dell'Illinois, sotto la guida del professor Scott White. Il tessuto plastico capace di ripararsi da solo è stato costruito sul modello della rete capillare dei nostri vasi sanguigni, quindi formato da strutture microtubulari con due diversi tipi di contenuti interni che si conservano fluidi (come il nostro sangue) finché non vengono a contatto fra loro: se la plastica viene lacerata o forata in un punto, i fluidi interni fuoriescono, mescolandosi e gelificando, quindi si induriscono e formano una sorta di cicatrice, un tappo che ripara il danno.
Con questo sistema questi ricercatori sono riusciti ad ottenere una apparentemente perfetta riparazione anche di un foro di 3 cm. cosa fino ad oggi impossibile, ma la cicatrice sembra abbia una resistenza minore rispetto al tessuto intatto (circa il 62%).
Dall'abstract dell'articolo su Science:
"After restoration of impact damage, 62% of the total absorbed energy was recovered in comparison with that in initial impact tests."
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