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Le donne: violenza privata e violenza sociale



Tempo addietro, ricordo, in una scuola di psicoterapia familiare, il conduttore del gruppo, nel corso di una delle sue spiegazioni ebbe a dire qualcosa del genere:

 "Una donna per lamentarsi del marito con la propria madre come minimo deve confidarle che lui la picchia, forse allora riceverà considerazione, ad un uomo per lagnarsi della moglie con sua madre basta dire che lei non gli stira le camice ..."

Non ricordo se fossero proprio queste le parole esatte, ma vi prego di notare, oltre l'aspetto della evidente asimmetria di rapporto, tutt'ora presente nella concezione più diffusa e comune, dico oltre questo, l'accorgimento usato da quel docente di eleggere nel ruolo di depositarie del giudizio sociale, le due madri ... due donne anche loro.

Perché certo questo può essere considerato uno degli aspetti cardine, capace di nutrire e sostenere ancora oggi quella mentalità per la quale la parte femminile deve rendersi subalterna e disposta a subire la prevaricazione e magari la violenza.
Ribellarsi non è facile e certamente comporta il rischio di incorrere nella condanna sociale, a partire da quella dei propri stessi familiari.

 Subire in dolce mansuetudine consente di ottenere l'approvazione dei gruppi sociali di riferimento e tuttavia non elimina l'umiliazione, né la rabbia di chi subisce. Chi subisce può riuscire può credere di star facendo la cosa giusta e di essere una buona moglie e madre, una persona rispettabile, grazie al consenso sociale che le permette di ristabilire l'autostima, malgrado l'umiliazione. La rabbia, no: quella si accumula inevitabilmente e soprattutto chi  ha subito ha bisogno di credere fortemente di essere nel giusto, altrimenti l'immagine di persona adeguata e rispettabile si frantumerebbe sotto i suoi piedi come un sottile pavimento di cristallo, lasciandola cadere nel pantano delle umiliazioni e della rabbia. Quelle sabbie mobili sono pericolose: possono inghiottire la gente con poche possibiltà di ripresa.

Tutto questo preambolo per dire che chi vuole veramente combiare la mentalità che rappresenta il substrato capace di fornire nutrimento, come un terreno di coltura sul quale continuano a proliferare indisturbati i fenomeni di violenza, stupro e femminicidio, non si illuda che il suo nemico sia l'uomo, in quanto tale: dovrà scendere in guerra anche con tante, troppe donne ...

La consapevolezza è un frutto che necessita di tempo e cura per maturare.

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