L'invito
Questo intermezzo è un rifacimento personale di una storiella analoga (la storia del martello in prestito) e godibilissima narrata da Paul Watzlawick nel suo splendido manuale "istruzioni per rendersi infelici" di cui consiglio a tutti la lettura!
L’amico dice: vienimi a trovare ed io penso che se non ci vado ci faccio la figura dell’asociale solitario e potrebbe anche non starmi troppo male, non c’è motivo di preoccuparsi per quello.
Del resto anche loro sembra che debbano fare lo spettacolo: gli piace essere guardati e ciascuno si vuole presentare e litiga con qualcun altro tanto per mostrarsi, che è una rottura a sciropparseli uno dietro l’altro. Ma mi ha invitato: che altro posso fare? Potrei semplicemente stare a casa, ma se si offende?
E perché dovrebbe offendersi? Se mi fossi sentito poco bene? No, quello pensa che lo voglio snobbare, si sente un padre eterno e si contrarierà, così approfitterà della mia assenza per parlare male di me con tutti quanti … e se si mette a raccontare di quella volta che mi rubarono le scarpe nella palestra, diventerò lo zimbello della compagnia, non ci sarà più nessuno in città che non vorrà ridere di me, dopo mi guarderanno coi loro risolini di compatimento … ma che disgraziato mettersi a raccontare quella storia! Belli gli amici! Non ha proprio altro da raccontare lui e sta a vedere che uno non può soffrire nemmeno un mal di testa! Che prepotenza: un invito non deve essere un obbligo, perdio! O non dovrebbe, ma certo se si ha a che fare con certi soggetti bisogna aspettarsi un po’ di tutto. Questo solo non posso sopportare che dopo anni di amicizia, io che mi sono sorbito pure le sue liti familiari debba essere venduto per far ridere una sera con le battute a mio danno gli invitati del signorino … ma è certo che qui l’amicizia si romperà del tutto; è bene che lo sappia cosa penso di lui. Così mi decido e parto, busso alla porta e gli urlo in faccia: “Tienila pure per te la tua bella compagnia, con me hai chiuso! Non ne posso più di questa ipocrisia”. Sbatto la porta e me ne vado, libero, finalmente!
E perché dovrebbe offendersi? Se mi fossi sentito poco bene? No, quello pensa che lo voglio snobbare, si sente un padre eterno e si contrarierà, così approfitterà della mia assenza per parlare male di me con tutti quanti … e se si mette a raccontare di quella volta che mi rubarono le scarpe nella palestra, diventerò lo zimbello della compagnia, non ci sarà più nessuno in città che non vorrà ridere di me, dopo mi guarderanno coi loro risolini di compatimento … ma che disgraziato mettersi a raccontare quella storia! Belli gli amici! Non ha proprio altro da raccontare lui e sta a vedere che uno non può soffrire nemmeno un mal di testa! Che prepotenza: un invito non deve essere un obbligo, perdio! O non dovrebbe, ma certo se si ha a che fare con certi soggetti bisogna aspettarsi un po’ di tutto. Questo solo non posso sopportare che dopo anni di amicizia, io che mi sono sorbito pure le sue liti familiari debba essere venduto per far ridere una sera con le battute a mio danno gli invitati del signorino … ma è certo che qui l’amicizia si romperà del tutto; è bene che lo sappia cosa penso di lui. Così mi decido e parto, busso alla porta e gli urlo in faccia: “Tienila pure per te la tua bella compagnia, con me hai chiuso! Non ne posso più di questa ipocrisia”. Sbatto la porta e me ne vado, libero, finalmente!
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