Immigrati clandestini
"Sono rimasto solo, nessuno alle mie spalle, gli amici dispersi. Ho abbandonato la casa che forse ora è distrutta. La mia casa e la gente che salutavo al mattino.
Solo la follia di questa fuga.
In fondo alla barca, sconosciuti che parlano la mia lingua: non so chi siano.
Sulla pelle non ho che i vestiti, impregnati di polvere e sudore, cullato dalle onde, nelle orecchie il mormorio del mare che sussurra incertezze, come al ramo reciso dal suo tronco destinato forse a morire, marcito e disseccato dall’acqua salata, o forse a toccare terra, una buona terra dove affondare radici.
Non so cosa toccherà a me: sono sfinito ed ho paura, il mare lambisce la mia mano e la sponda della barca. Il mare non perdona. C’è gente che non è mai arrivata, gente che non è tornata mai più.
Un sopore malsano, un’insolita vertigine, una nausea che m’afferra proprio allo stomaco e stringe. Si fa fatica a respirare: quanto ancora? Si è alzato un po’ di vento: sembra promettere un fiato, ma non basta a coprire l’odore.
Provo a guardare l’orizzonte: è ancora mare, sarà giusta la rotta? Non posso pregare, ho già pregato molto in passato, ma non è bastato a salvare la mia famiglia. Vorrei cedere alla stanchezza, abbrutirmi in un sonno nero e senza sogni, non c’è altro da fare, nulla che io possa fare adesso: forse riuscirei a recuperare qualche energia per lo sbarco. Lo sbarco, forse. C’è il pianto di un bambino: qualcuno non è partito solo, come me. Meglio restare allerta: se succede qualcosa, qui si comincia a ballare un po’ troppo, quel vento non portava un che di buono. Tendersi e bilanciarsi.
Ecco la costa, ma è lontana: c’è una corrente forte, il pianto è cessato, la gente grida e qualcuno lascia scivolare le lacrime in silenzio, qualcuno ancora prega con sguardo intenso rivolto al proprio cuore. Non so se un Dio ascolta, né se toccheremo terra: non dovevano portare il bambino o forse dovevano portarlo, tanto sarebbe morto laggiù ................"
Partii un giorno
e fra tanti:
strappate le radici
e recise
dall'umida terra,
che prima ha vibrato,
al mio grido natale.
Negato allo sguardo
l'orizzonte
piano ed aperto
del mare,
inquietato dall'onde,
e delle distese di sabbia
e deserti.
Distante, ma stretto
alla casa
dei volti già noti
dai vividi sguardi
e mesti sorrisi.
Sopite memorie
di nenie e canzoni
di festa:
parole dirette
che in terra straniera
non odo.
E quanto all'amore
lasciato laggiù
consuma il pensiero
e lo serra alla pena,
ma ancora conforta
chi è solo.
Ma qui sconosciuta la gente
ed avara,
mi guarda sfuggente
e scantona.
Vò ancora cercando
non tutto, ma il nulla neanche
e solo ne canto la storia.
Commenti
Posta un commento
Allora? Vuoi dirmi che ne pensi?
Grazie per ogni contributo, tieni solo presente che:
* I commenti non inerenti l'argomento del post verranno considerati messaggi personali e privati.
** I commenti contenenti link verranno considerati spam.
*** I commenti contenenti insulti, volgarità e/o attacchi personali a chiunque, non verranno affatto considerati.
I tre generi di commenti sopra elencati non saranno pubblicati o, se erroneamente pubblicati, verranno rimossi appena possibile.
Grazie a tutti per la lettura ed il tempo dedicato al post.
Grazie a quelli che lasceranno una traccia del loro pensiero.