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Scuola: riforma & controriforma


Eh sì quando ero io ad andare a scuola era il tempo in cui era stata da poco attuata la scuola media inferiore unificata, non più divisa tra la scuola cosiddetta di “avviamento” ed il ginnasio.
Appena, appena a quei tempi iniziava la scolarizzazione di massa, perché fino a quel momento gli studi oltre l’alfabetizzazione e l’obbligo elementare, erano stati privilegio di pochi. Era necessario essere almeno agiati per consentire ai figli di studiare, un ragazzo/a di 14 anni era già capace di portare alla sua famiglia un salario e per rinunciarvi e mantenerlo invece agli studi bisognava poterselo permettere. Gli studi superiori ed universitari erano riservati ai figlioli di famiglie benestanti destinati a formare la futura classe dirigente.
 Non che la scuola di per sé fosse migliore di quella attuale: fra i figli della buona borghesia vi saranno stati dei buoni somari e saranno andati comunque avanti perché dovevano.
Non che le cose poi siano subito cambiate dalla sera alla mattina: ancora ai miei tempi era risaputo che alcune sezioni erano riservate alla prole dei dirigenti e/o ricchi locali, tutti raccomandati, vi si studiava press’a poco e si davano sempre buoni  voti. Da qualche parte forse l’usanza si conserva ancora oggi: abitudini e costumi non cambiano tanto facilmente.
 Alcune famiglie facevano sacrifici enormi per consentire ai propri figlioli di studiare, sognando per loro un riscatto sociale. Aprirono allora le Università, ma alla fine molti di quei giovani  furono beffati: l’ingresso nel mondo del lavoro e delle professioni, le opportunità di fare esperienza pratica e di formarsi restavano privilegio di quelle “sezioni” di cui sopra.
Anni di sacrifici e duro lavoro gettati al vento! Meglio chiudere le Università, inutile avere più laureati di quanti il mercato del lavoro ne possa assorbire. Certo. Ma poi cosa fare con la disoccupazione?
Negli anni successivi  (io ormai ne ero fuori) alla scuola è stato chiesto uno sforzo enorme: l’abolizione delle classi “differenziali” e l’estensione dell’obbligo scolastico hanno consentito l’ingresso nelle aule di persone diverse dallo stereotipo dello studente di cinquant’anni fa. Una vera rivoluzione: classi sociali disagiate, ragazzi con altro per la testa che la storia della regina Maria Antonietta, disabili ed altro ancora.
Un vecchio insegnante del classico è passato alla storia dell’istituto per quella frase che ripeteva spesso: “la cultura è ciò che rimane dopo che si è dimenticato tutto”, beh a noi veniva chiesto di ricordare, di esporre, di collegare, rammentando tutto il precedente, perciò non tutti capivano cosa volesse insegnare il professore.
Lui voleva significare che la scuola pretende di formare le menti, guidare i giovani nello sviluppare la propria intelligenza, le proprie capacità logiche, i propri percorsi mentali e la propria creatività, insomma usare al meglio le proprie strumentalità per costruire altre strumentalità, allargando gli orizzonti della comprensione, associazione, memoria, infine generare una struttura ricca, articolata, flessibile: quella di una persona colta, appunto.
Ecco, ma se la scuola ha questa ambizione come mai non riesce a fare un ragionamento che apparirebbe semplice ad un bimbo di scuola materna? Come mai non si è capito che  se il contenuto cambia qualitativamente e quantitativamente non ci  può più stare in nessun modo nello stesso contenitore?
La scuola è rimasta la stessa: le stesse aule, gli stessi spazi, lo stesso tipo di lezioni. Il “contenitore scuola” si è forse solo un po’ ingrandito (vi sono più scuole che ai miei tempi) ma non ha diversificato strumenti e metodologie, né si è poi ingrandito a sufficienza.
Lo diceva la nonna: “la suonata è sempre a denari” occorrono risorse economiche per ambire a determinati livelli di civiltà. Tenere insegnanti di sostegno nelle classi, progettare laboratori ed attività integrative è più costoso del raccogliere dieci ragazzi in una differenziale con una sola maestra. Riuscire poi a coinvolgere l’interesse di giovani già troppo immersi nelle problematiche del concreto quotidiano per condizioni di disagio sociale è proprio una sfida: come appassionarli a cose così lontane ed astratte? Qui si dovrebbe proprio fare uno sforzo di fantasia.
Ai giorni nostri di fantasia ne rimane poca perché la scuola viene privata di spazi e risorse e le ultime “riforme” vanno esattamente in direzione opposta alla tendenza degli ultimi cinquant’anni.
La scuola è un servizio, ciò vuol dire che non produce reddito: è solo una spesa per  uno stato ha la stessa mentalità di un bottegaio (ma la cultura dei quadri dirigenti dov’è?).
Il livello di civiltà di un paese può essere facilmente misurato visitando scuole, ospedali e carceri.
Quando conoscete queste cose di una nazione sapete tutto ciò che di essenziale c’è da sapere su quel popolo.

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