Recensione di "MARCOVALDO" di Italo Calvino
Questo libro non potrei definirlo un romanzo perché è una
raccolta di storielle, ciascuna delle quali costituisce un episodio compiuto in
sé stesso. Il protagonista di tutte le storielle è sempre lo stesso: Marcovaldo
e perciò non è possibile definire l’opera neanche come una raccolta di novelle,
dove, di solito vengono presentati scenari e personaggi diversi in ciascuna
storia. La struttura del libro mi fa piuttosto pensare a certi serial
televisivi, dove gli stessi personaggi vengono riproposti in diverse storie più o meno avventurose.
Gli
episodi non sembrano fra loro legati dal filo conduttore di una vicenda o di
una trama vera e propria, ma appaiono, piuttosto, come frammenti della
quotidianità del nostro personaggio, salvo l’avvicendarsi delle stagioni, che
indica il solo trascorrere del tempo senza che l’attenzione venga concentrata
su alcuno sviluppo in particolare. Sono 20 episodi, ognuno ambientato in una
stagione: primavera, estate, autunno ed inverno, secondo il ciclo rituale
ripetuto per 5 volte.
Marcovaldo è un povero diavolo, un operaio ingenuo e
bonaccione che vive in una metropoli industriale, lavora come manovale in una
fabbrica ed ha una famigliola numerosa ed una moglie lamentosa, si trova a
vivere ora in un sottoscala, ora in una soffitta, sempre pieno di debiti e con
una vita grigia e misera. Il fatto è che Marcovaldo ha un suo carattere e delle
sue inclinazioni un po’ strane e bislacche: pur abitando da sempre in città,
ama solo la natura e non è affatto attratto dalle vetrine luccicanti, è un
sognatore inguaribile, malgrado tutti i suoi guai, e soprattutto un
irrecuperabile pasticcione! Inseguendo i suoi piccoli sogni puerili, non fa
altro che combinare guai e le storielle finiscono sempre con un piccolo
disastro.
Questo personaggio, così delineato con una delicata ironia, ispira
tenerezza, fa sorridere, eppure in fondo in fondo mi rattrista: un piccolo
uomo, con una mente semplice di fronte alla Metropoli, una specie di Don
Chisciotte contro i mulini a vento, una situazione dove la comicità si colora
di una vena di tristezza e di compassione per gli ideali illusori, così poco conciliabili con la cruda
realtà del protagonista.
Tra le storie che mi hanno colpito di più ricordo quella del
coniglio avvelenato e quella del supermercato che mettono a nudo la situazione
di estrema povertà del nostro goffo sognatore. La struttura ad episodi ne rende
la lettura più leggera, anche se ad un certo punto sembra che stanchi, ma non
so dire se questa sensazione dipenda dal fatto che le storielle ripetono lo
schema del buffo eroismo del protagonista che immancabilmente si conclude in
uno scivolone, oppure se sia una specie di rigetto indotto dalla pietà per il
povero Marcovaldo, di cui non ho più voglia di ridere.
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