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La valorizzazione rende più intelligenti?

                                                                                                       08/05/2013

Già in altra occasione si è fatto riferimento in questo blog al concetto della "profezia che si autodetermina": si tratta di un concetto ben conosciuto e condiviso nella prospettiva sistemica di analisi delle relazioni sociali. Oggi cerchiamo di capire quanto esso sia reale e quali ne siano le potenziali  ricadute  sulle metodologie educative e didattiche.

Una ricerca pubblicata il primo maggio scorso sulla rivista  Plos One curata da Creswell et al. dimostra che un vissuto soggettivo di autoaffermazione migliora oggettivamente le capacità di problem solving e specificamente l'intuito e la creatività nei soggetti con un livello di rendimento compromesso da situazione di stress cronico.

Prima di esporre i dati del lavoro è necessario precisare che ricerche sperimentali effettuate in passato dimostravano un netto miglioramento nel rendimento di quegli studenti, che erano stati presentati agli insegnanti come eccezionalmente capaci. In questo tipo di lavoro, pure scherzosamente classificabile come profezia che si autodetermina, non era però possibile distinguere tra ciò che poteva essere il  pregiudizio valutativo dei docenti condizionati dalla presentazione ricevuta e ciò che poteva invece essere dovuto all'effettivo miglioramento della prestazione dello studente investito di una aspettativa positiva ovvero con conferma di sé.

Il lavoro pubblicato da Creswell invece utilizza una misurazione oggettiva della prestazione per la standardizzazione degli item ed il lavoro in cieco dei valutatori.
Parliamo quindi di un reale miglioramento della prestazione.
Altro aspetto è che la valutazione riguarda soggetti esposti a situazioni di stress cronico nell'ultimo mese, di conseguenza non viene misurato il miglioramento in assoluto della prestazione, come tale, ma piuttosto la "protezione" dalla caduta di rendimento normalmente conseguente a situazioni di stress.

Hanno partecipato alla ricerca 80 studenti volontari i quai sono stati divisi in maniera casuale in due gruppi. Tutti avevano compilato un questionario per la misurazione dello stress cui erano stati esposti nell'ultimo mese. Ad entrambi i gruppi è stato chiesto di effettuare una prova preliminare consistente nello stabilire una graduatoria di valori tra 11 proposti, dal più al meno importante: al primo gruppo  veniva chiesto di spiegare perché tali valori erano importanti rispetto a se stessi (creando quindi un vissuto di autoaffermazione) al gruppo di controllo invece, perché lo erano per gli altri.
La prova successiva consisteva nel misurare la capacità di problem solving in con test specifici.

I risultati delle prove depongono per la capacità della autoaffermazione come tale di proteggere dal deterioramento delle prestazioni dovuto allo stress.
Secondo gli autori il dato è interpretabile come una attenzione più aperta e flessibile ed una migliore disponibilità di lavoro negli soggetti con autoaffermazione.


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Commenti

  1. Comunque le relazioni educative sono veramente complicate, bisogna sempre destreggiarsi tra la necessità di un'attenzione gratificante, contemperata dall'analisi dei dati di fatto che talvolta corrono in tutt'altre direzioni, un lavoraccio!

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  2. Questo è sicuro, ma mi pare che il lavoro indichi la conferma di sé fatta da se stessi, come autoaffermazione agita attraverso l'interesse orientato su di sé, piuttosto che sugli altri come fattore gratificante e sbloccante ... non sei tu che devi gratificare, è il soggetto che deve sentirsi importante convogliando l'attenzione su se stesso o press'a poco ...

    RispondiElimina

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